giovedì 5 luglio 2012

Le Aree Programma di Basilicata come strumenti per la programmazione dei fondi UE 2014-2020

Il fallimento delle sette Aree Programma nate nella Regione Basilicata a seguito della chiusura delle 14 Comunità montane, risolleva il problema della programmazione e delle sue modalità applicative. Ovviamente, il punto dolente resta sempre la metodologia, anche se credo che in questo caso – stando almeno agli articoli della stampa regionale e nazionale – il fallimento sia dovuto più ad un “vuoto programmatico”, alla “mancanza di contenuti”, che non ad una questione metodologica. Pertanto, in questo mio breve articolo, proverò a evidenziare quali sarebbero potuti essere i contenuti intorno ai quali implementare le Aree Programma.

L'analisi della rassegna stampa mi porta a delineare un quadro in cui, a seguito della chiusura delle 14 Comunità Montane della Regione Basilicata, le 7 Aree Programma si sono caratterizzate per un forte immobilismo, per guerre di campanile tra i vari comuni, per la mancanza di norme chiare sulla loro gestione, per la mancanza di strutture operative dedicate, per l'incapacità dei territori di fare sistema e per la ripetizione delle funzioni amministrative già in carico dell'Ente Provincia. A ciò si deve aggiungere anche il fatto saliente che le 14 Comunità Montane non sono state completamente chiuse per la rimanenza in carica dei loro ex-presidenti col ruolo di commissari liquidatori di questi enti, cariche che continuano a comportare una consistente spesa annua in seno al bilancio regionale.

Rispetto a questa situazione, però, non credo che sia utile parlare di mancata riduzione di spesa pubblica regionale, anche perché con la chiusura delle 14 Comunità Montane, di fatto, la spesa si è considerevolmente ridotta, anche se magari si puntava ad un loro completo azzeramento. Invece, l'aspetto che mi sembra più opportuno rimarcare è il mancato efficientamento della spesa pubbica, obiettivo che doveva essere raggiunto, non solo col l'eliminazione delle Comunità Montane, ma soprattutto con l'introduzione delle Aree programma.

Se non vi è stato efficientamento della spesa pubblica per il fatto che le Aree Programma non hanno funzionato, io credo che il fulcro della questione debba essere il loro grande vuoto programmatico con cui si sono caratterizzate. E credo anche, in tutta franchezza, che ciò non doveva essere una cosa possibile dal momento che l'Ente Regione, che è l'ente istituzionalmente deputato a svolgere funzione di programmazione, tanto sulla spesa degli enti locali, quanto sul del territorio, avrebbe dovuto intervenire sin dal primo momento coadiuvando i comuni e le popolazioni locali ad implementare questo strumento. 

Per questo, credo che si possa dire che le 7 Aree Programma sono nate e sono state gestite senza un minimo di programmazione e senza un minimo di programma da realizzare. Quello che si doveva realizzare e che non è stato realizzato, era un semplice ciclo di programmazione, tagliato sui problemi, sui bisogni, sulle carenze, sulle questioni aperte e sulle aspirazioni dei comuni e delle popolazioni locali... e nulla di più.

Comuni e popolazioni locali dovevano essere i veri attori di questo processo di programmazione, in modo da attuare i principali cardini di una moderna programmazione, “cosiddetta dal basso"; in altre parole, dovevano essere i comuni, affiancati da regione e province, a decidere tutto quel pacchetto di principi e di regole da mettere alla base della programmazione delle Aree Programma, in modo da dar vita ad una programmazione che al tempo stesso fosse concertante, condivisa, inclusiva, sostenibile ed autosostenibile”.

Ovviamente, sarebbe spettato anche ai comuni, assistiti sempre dalla Regione e dalle Province,  scegliere come spendere i soldi pubblici e decidere verso quali bisogni/obiettivi indirizzarli. Questa indicazione, non solo avrebbe evitato il formarsi di doppioni di funzioni amministrative, ma avrebbe avuto il vantaggio di indirizzare la programmazione verso la soluzione di problemi reali dei piccoli comuni e quindi, avrebbe permesso di dar seguito a quell'approccio strategico di una moderna attività di programmazione, che contempla la elevazione dei problemi delle comunità locali ad obiettivi programmatici”.

Per esempio, le sette Aree Programma avrebbero potuto essere:
a) il luogo privilegiato della concertazione e della programmazione ex-ante in-itinere ed ex-post sui fondi strutturali e sugli altri fondi dell'Unione Europea; 
b) un momento decisionale sullo sviluppo socioeconomico, sulla tutela ambientale, sulla sostenibilità;
c) lo strumento per il superamento del grado di marginalizzazione geografica della regione rispetto alle storiche triettorie dello sviluppo del nostro paese;
d) la salvaguardia dei beni storici, culturali e paesaggistici;
e) il rilancio dell'agricoltura lucana e dei prodotti tipici;
f) la gestione delle risorse idriche ed energetiche;
g) il completamento delle reti di trasporto nazionali ed internazionali;
h).... e così via...
Pertanto, per salvarle basterebbe dar loro un minimo di contenuto programmatico... In altre parole, basterebbe affidare loro anche uno solo dei temi che ho elencato.

A questo punto, però, credo che "tutto il potere decisionale" sia nelle mani della Regione. Unica speranza per i comuni, è quella di riuscire ad organizzarsi per superare quelle dannose questioni di campanile, per ragionare per orizzonti più lunghi del loro stesso naso, nonché per chiedere e/o pretendere che la Regione Basilicata attivi un ciclo di programmazione sulle "Aree Programma". Per esempio, sei io fossi un sindaco, chiederei alla Regione di trasformarle in stabili tavoli di concertazione, ovvero di farle diventare il punto di partenza della nuova programmazione 2014-2020 dei fondi UE. Se invece fossi addirittura il programmatore della Regione Basilicata, cioè, se dovevo essere io a decidere del loro destino, avrei assegnato proprio alle 7 Aree Programma la funzione di Agenzia di Sviluppo dei vari territori lucani, concentrando in esse tutta l'attività di programmazione dei fondi Strutturali, degli altri fondi comunitari, nonché delle politiche europee, connesse con il prossimo ciclo di programmazione 2014-2020.

Pietro Perrucci

Innovazione, tecnologia e ricerca. La metodologia nella proposta operativa.

Grazie a tutti Voi per l'interesse mostrato verso il mio articolo del 4 luglio 2012... E nell'accogliere tutte le vostre richieste di informazioni sulla metodologia utilizzata, cercherò qui di fare un breve discorso sulla metodologia che deve essere utilizzata secondo la mia esperienza.

Il punto di partenza sulle metodologie di progettazione da utilizzare è rappresentato da quella regola che non può esistere un unico modo di progettare, così come quasi mai è possibile impiegare le tecniche più classiche di europrogettazione, dal momento che le aziende presentano condizioni, problemi, fabbisogni, contesti operativi, ampiamente variegati tra loro. Pertanto, a causa di ciò, quando si parla di metodologie occorre fare una netta differenziazione in relazione a quei quattro livelli diversi con cui ci si confronta a livello progettuale:
1) a livello teorico;
2) a livello di analisi contestuale;
3) a livello della proposta di consulenza e/o collaborazione e/o lavoro;
4) a livello operativo.

A livello teorico, la metodologia a cui sto facendo riferimento è davvero molto distante dalla GOP, dalla LFA, dalla calssica "europrogettazione", perché in genere queste metodologie, pur essendo richieste dai bandi e dai regolamenti dei fondi strutturali, purtroppo non riescono a soddisfare tutta la variegata gamma di condizioni, problemi, fabbisogni, contesti operativi, che (come detto prima) risultano essere ampiamente variegati tra loro. Pertanto, a livello teorico il punto di partenza della mia metodologia di lavoro risulta essere sempre quell'insieme di cambiamenti che ho avuto modo di indicare nel mio precedente articolo "I cambiamento in atto nel nostro tempo: ambiti, fattori, cause e dinamiche di fondo" pubblicato in data 11 maggio 2012.

A livello di analisi contestuale (analisi di contesto), come avete potuto vedere dall'articolo "Innovazione, tecnologia e ricerca, nei fondi strutturali della Regione Puglia", nel mio caso ho ravvisato l'esigenza di lavorare su 10 livelli di sviluppo progettuale (rispetto ai 12 che ne sono generalmente previsti) e questo perché - come è stato detto - l'idea progettuale è stata già sviluppata sul piano tecnico e pertanto i 10 livelli di progettazione sono stati i seguenti:
1) PIANO OPERATIVO-STRATEGICO
2) IDEA-PROGETTO
3) ANALISI DI CONTESTO
4) PIANO DI LAVORO
5) ATTIVITA'
6) STRUTTURAZIONE
7) MANAGEMENT
8) ASSESMENT
9) RIMODULAZIONE
10) COMUNICAZIONE


A livello della proposta di consulenza e/o collaborazione e/o lavoro, qui dipende molto da azienda ad azienda. Nel mio caso mi sono orientato con la seguente articolazione:
1) ANALISI DI CONTESTO
2) IDEA-PROGETTO
3) IDEA DI BUSINESS
4) PIANO DI LAVORO (qui articolato solo sui fabbisogni e non anche sui processi, obiettivi, ecc...)
5) ATTIVITA'
6) CORRELAZIONE TRA PIANO DI LAVORO E ATTIVITA' (fondamentale sul piano del metodo)
7) STRUTTURA OPERATIVA
8) PROPOSTA DI COLLABORAZIONE

A livello operativo vero e proprio, invece, il metodo non lo si può determinare a priori, dal momento che sarà grazie all'esperienza di progettazione e di realizzazione del progetto in sé, che si evidenzierà la metodologia impegata.

Pertanto, concludo ancora una volta invitandovi a seguire gli articoli su Innovazione, tecnologie a ricerca, per completare l'analisi sulle metodologie utilizzate.

Pietro Perrucci