lunedì 9 marzo 2009

Mutamento di senso e di significato nell'uso dei più tradizionali strumenti di governo locale

La letteratura sociologica dedica ampissimo spazio ai molteplici strumenti innovativi di governo locale (e non solo), quali sono le metodologie di policy making e policy analysis, la governance, la partnership, il networking, i piani della comunicazione interna ed esterna, le tecniche di valutazione e di monitoraggio, la cittadinanza attiva, la democrazia deliberativa, la democrazia diretta, fino ad arrivare all’empowerment. Al tempo stesso, però, la medesima letteratura trascura di considerare come sono cambiati il senso ed il significato dei più tradizionali strumenti di governo, ovvero la “politica”, il “piano”, il “programma” e il “progetto”, per via della crescente partecipazione di nuovi soggetti, quali semplici cittadini, associazioni, portatori di interessi, gruppi di pressione, ecc…
L’importanza di questo cambiamento è stata tale al punto che il termine “iter” è stato sostituito dal termine “processo”, laddove il primo indicava per la realizzazione di ognuno di quei strumenti tradizionali di governo, la più diretta espressione di un potere di supremazia, di imperio, di sovranità, di autorità, ecc…, da parte di istituzioni dello Stato, organi della Pubblica Amministrazione, burocrati ed anche partiti politici, mentre il secondo sta ad indicare quella maggior connotazione metodologica, fenomenologia, sociologica e soprattutto democratico-partecipativa di quei nuovi soggetti nella realizzazione di quei tradizionali strumenti di governo locale.
Di conseguenza, il più tradizionale strumento di governo locale, ovvero la politica, non è stato più inteso come attività prettamente giuridico-istituzionale, ed ha assunto, invece, le caratteristiche di un’attività di “policy”, cioè di un’attività che, come nella sua accezione anglofona, tende sempre meno ad essere legata alla espressione di una qualche forma di potere, e sempre più ad essere identificata quale “attività pragmaticamente protesa all’intervento in specifici ambiti della società, per la soluzione di problemi, per il conseguimento di obiettivi e per il raggiungimento di determinati scopi istituzionali”.
Per quanto riguarda la programmazione si deve evidenziare che questo strumento è divenuto sempre più il frutto della compartecipazione di più soggetti, nel senso che alla sua definizione possono concorrere, oltre agli organi dello Stato, anche espressioni del mondo economico, del mondo sociale, degli enti locali, di organizzazioni internazionali e di semplici cittadini, singoli ed associati, ecc... Ecco perché quando si parla di programmazione, si intende un’attività che è e deve essere necessariamente intesa quale attività “negoziata, concertata, condivisa ed inclusiva”. La pianificazione, che già prevedeva la traduzione operativa e concreta dell’esercizio di un potere, in interventi operativi, azioni, strategie, ecc..., ha acquisito con la partecipazione un notevole sviluppo metodologico, e questo sia nel senso di rafforzare la sua propensione ad essere strumento esplicitamente votato al conseguimento di specifici obiettivi, sia nel senso dell’acquisizione preventiva del consenso rispetto alla fase di elaborazione. Si può dire, dunque, che la pianificazione, per il fatto di essere oggi ampiamente aperta ed estesa alla comunità cui essa fa riferimento, è più che mai strategica, proprio perché è più direttamente ed efficacemente rivolta al conseguimento di obiettivi reali, concreti, tangibili, misurabili, condivisi, in funzione dei quali si predispongono le misure, le azioni e gli interventi.
Inoltre, nell’ambito della progettazione, la partecipazione ha fatto sì che vi fosse una più bassa rigidità metodologica ed operativa di questo strumento e quindi una sua maggiore flessibilità. Per questo, quando oggi si usa il termine progettazione (soprattutto nell’ambito della “europrogettazione”) si intende una “progettazione che deve essere necessariamente integrata”, sia per quella sua quella caratteristica di maggior adattamento contestuale, tematico ed intersettoriale (integrazione orizzontale) e sia per quella caratteristica di maggior coordinamento tra i vari livelli di governo territoriale che sono parte della progettazione (integrazione verticale).
Pertanto, in funzione di questi cambiamenti possiamo dire di aver visto nell'ambito dei tradizionali strumenti di governo locale,
a) la politica trasformarsi in attività di policy,
b) la programmazione in attività negoziata concertata condivisa ed inclusiva,
c) la pianificazione in attività strategica,
d) la progettazione in attività ad integrazione orizzontale e verticale.

Pietro Perrucci