lunedì 30 marzo 2009

La svolta salernitana: commento al libro "Un'altra Italia"

Carissimo Felice,

ho letto il libro di Vincenzo De Luca “Un’altra Italia, tra vecchie burocrazie e nuove città” (Ed. Laterza, Bari, 1999) e concordo pienamente con te: si tratta, infatti, di un libro interessante, scorrevole e dalla notevole esperienza letteraria, che finisce per esaltare anche l’esperienza storica della svolta politica sociale ed urbana della città di Salerno, in quanto rende giustizia a questo Sud sempre bistrattato e quasi mai considerato nelle sue eccellenze territoriali.

Tuttavia, mentre leggevo “cosa” è accaduto in questa citttà, non ho trovato nulla, o quasi nulla, sul “come” sia stato possibile generare questo cambiamento.

Pertanto, per chi come me si occupa anche della “trasferibilità delle esperienze di buon governo” (best practice) da certi contesti ad altri contesti, non è possibile definire in maniera oggettiva l’entità e la qualità di questo cambiamento.

In altre parole, voglio dire che un libro del genere, che racconta di una esaltante quanto unica esperienza politico-amministrativa, avrebbe dovuto prevedere accanto ad una parte “descrittivo-narrativa”, anche una parte “metodologica” che spiegasse quali fattori, quali strumenti e soprattutto quali elementi culturali, hanno reso possibile un cambiamento del genere, in modo da poter riconoscere nell’esperienza salernitana, la migliore delle esperienze possibili (benchmarking).

Per essere più preciso, credo che sarebbe stato utile monitorare e valutare la “svolta salernitana”, attraverso strumenti (tool) come quello della "Most Significant Change Technique", ovvero uno strumento che è al tempo stesso una "tecnica di monitoraggio", una "tecnica di valutazione" e uno "strumento di governo del cambiamento", che si basa sulla rilevazione periodica qualitativa e quantitativa del cambiamento, che fa riferimento a parametri o indici economici, sociali, demografici e territoriali, che consente anche di osservare costantemente il cambiamento sotto molteplici punti di vista.

Ad ogni modo, dai pochissimi riferimenti che si possono utilizzare per un'analisi, ritengo che possano considerarsi peculiari fattori di cambiamento della realtà salernitana i seguenti elementi:
a) l'esistenza di una forte volontà di cambiamento, anche se non si capisce quanto consapevole e quanto emotiva sia stata questa volontà di cambiare da parte della classe politica;
b) il governare la città coinvolgendo le alte amministrazioni dello Stato, Ministero del Lavoro, della Giustizia, dell’Interno, il C.I.P.E., il C.N.E.L., ecc…;
c) il clima di favorevole collaborazione interistituzionale, che ha anticipato di qualche anno sul piano nazionale l’introduzione di quell’approccio di “programmazione dal basso”, che portò all’introduzione delle Intese Istituzionali di Programma, degli Accordi di Programma, delle Partnership Pubblico-Private, ecc…;
d) la valenza strategica della trasformazione urbana finalizzata allo sviluppo del turismo, che introdusse una importante innovazione di metodo (strategico, appunto), rispetto ad una precedente pianificazione che, in quanto calata dall’alto, rispondeva più al legame affari-politica che non ai problemi reali della città.

Invece, non posso considerare come positivo fattore di cambiamento tutti quei interventi sulla burocrazia e sulla macchina amministrativa comunale, sia perché lo stesso autore riconosce di non essere riuscito a risolvere tutti i problemi esistenti in questo ambito, sia perché mi è davvero difficile accettare l’idea che sarebbe bastato far roteare 12 dei 13 funzionari comunali per spezzare quella serie di molteplici inefficienze (ivi compresi gli atti di corruzione e di concussione).

In conclusione, quindi, senza nulla togliere al cambiamento di Salerno, da un punto di vista operativo mi è tecnicamente difficile qualificare questa esperienza come un benchmarking, in quanto non è possibile utilizzare alcun parametro o indice oggettivo di valutazione. Peccato.

Grazie ancora per aver reso possibile questa lettura.

Con amicizia, Pietro Perrucci

ll senso della partecipazione

Con la partecipazione si realizza un livello di democrazia maggiore rispetto al sistema della rappresentanza (democrazia rappresentativa) e la spiegazione di ciò sta nelle seguenti motivazioni:
a) realizza un maggior senso civico;
b) permette di conseguire decisioni condivise;
c) realizza la più ampia inclusione possibile;
d) conferisce maggiore legittimità alle decisioni;
e) conferisce maggiore legittimità alle istituzioni ed ai cittadini singoli ed associati;
f) da maggiori possibilità di successo alle politiche, ai programmi, ai piani ed ai progetti;
g) consente di conseguire decisioni migliori;
h) consente di conseguire il passaggio dalla "politica" alla "policy".

Questa potrebbe essere la sintesi della lettura di Lewanski R. "LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA", in Aggiornamenti Sociali, 2007, pp.743-754.

Pietro Perrucci