lunedì 10 gennaio 2011

4. La governance nella programmazione dei Fondi Strutturali 2007-2013: un nuovo modello di "policy"

La governance rientra nella decima priorità del Quadro Strategico Nazionale (Q.S.N.) ed ha come obiettivo il rafforzamento delle capacità delle istituzioni: essa si pone come un tutt’uno con un innalzamento dei livelli di legalità in ogni area del Paese ed ha la funzione di favorire i mercati dei servizi concorrenziali ed efficaci. Tali requisiti istituzionali spingono affinché l’intera politica regionale unitaria produca risultati significativi, conseguendo standard più elevati in termini di efficienza ed efficacia.

Per la realizzazione di questi obiettivi, si richiede un’azione trasversale a tutti i programmi e azioni mirate; pertanto, la priorità della governance sintetizza i processi di trasformazione dell’assetto istituzionale, economico e sociale, affidati alla primaria responsabilità della politica ordinaria ed anche alla politica regionale unitaria che può dare un contributo aggiuntivo, soprattutto attraverso il metodo con cui essa viene attuata.

Per questo, centrale è il ruolo della Pubblica Amministrazione (programmatorio, operativo, ed anche di regolazione e supporto), che disegna interventi in modo trasparente, certo e credibile, ed attua migliori condizioni concorrenziali dei beni e dei servizi pubblici e dei capitali. Questi due obiettivi, pur essendo tradizionalmente distinti e connessi tra loro, concorrono a creare le condizioni per un contesto di piena legalità in un’ottica sistemica, orientata al conseguimento di standard di efficienza, trasparenza e concorrenzialità, tutti aspetti ritenuti essenziali per il conseguimento di risultati tangibili sotto il profilo della competitività del sistema Paese e dei singoli territori che lo compongono.

La priorità 10 relativa alla governance si articola in un obiettivo generale e tre obiettivi specifici. L’obiettivo generale è quello di “Elevare le capacità delle amministrazioni, accrescere i livelli di legalità, rafforzare il coinvolgimento del partenariato e contribuire all'apertura dei mercati dei servizi per una programmazione e gestione più efficace ed efficiente della politica regionale aggiuntiva”. Mentre gli obiettivi specifici sono:

1) rafforzare le competenze tecniche e di governo delle amministrazioni e degli enti attuatori, per migliorare l’efficacia della programmazione e la qualità degli interventi per offrire servizi migliori alla cittadinanza;

2) favorire un innalzamento dei livelli di legalità;

3) favorire l’apertura dei mercati dei servizi, migliorare e adeguare la regolazione per conseguire condizioni più concorrenziali.

Fra le innovazioni introdotte dalla nuova disciplina di coordinamento del Fondi Strutturali vi sono quelle relative a quattro fronti:

1) partecipazione al processo programmatorio dei programmi dei Fondi Strutturali;

2) conferimento di funzioni gestionali, inerenti ai Programmi Operativi, delle politiche urbane,

3) unificazione attraverso il Q.S.N. della politica regionale, comunitaria e nazionale, per lo sviluppo locale;

4) priorità 8 del Q.S.N. “Competitività e attrattività delle città e dei sistemi urbani”.

Questi tre fronti aprono uno scenario comportante nuove opportunità di interesse per gli Enti locali, in particolare per i Comuni, e quindi un maggior ruolo per gli Enti locali e per le loro istituzioni rappresentative. Infatti, l’inserimento nell’ambito del Q.S.N. dell’insieme della politica di coesione regionale finanziata sia con risorse dei Fondi Strutturali, sia con risorse nazionali del Fondo per le Aree Sottosviluppate (F.A.S.) e con risorse ordinarie “convergenti”, estende il campo del coinvolgimento partenariale a Enti Locali singoli o associati.

Per quanto riguarda il primo fronte, l’Intesa istituzionale di Programma Governo-Regione del 3 febbraio 2005 sull’unificazione delle due componenti della politica regionale Q.S.N. e F.A.S.) ai due livelli, quello nazionale e quello regionale, rappresenta per il periodo di programmazione 2007-2013 una pietra miliare. Tale programmazione unitaria consente di sostenere, in considerazione della necessaria concentrazione territoriale e tematica degli interventi, l’indirizzo di una più equa ripartizione territoriale degli effetti delle politiche regionali piuttosto che delle risorse finanziarie, alle condizioni che sia garantita prioritariamente la realizzazione di un sistema di coesione sociale tale da assicurare un livello appropriato dei servizi pubblici, in particolare di quelli sociali e di quelli afferenti all’istruzione e alla valorizzazione delle risorse umane, in termini sia di qualità e sia di accesso agli stessi, e che siano adottate opportune azioni per la coesione territoriale interna.

In riferimento alla cessione di funzioni nell’ambito dei programmi operativi, il regolamento del Consiglio n. 1083 del 2006 recante disposizioni generali sui Fondi Strutturali per il periodo 2007-2013, in coerenza con l’introduzione del vincolo del concorso del Partenariato istituzionale e sociale al processo di programmazione, offre l’opportunità di concepire una configurazione di decentramento gestionale del Programma Operativo basata essenzialmente su due diversi livelli di complessità corrispondenti, rispettivamente, l’uno, alla delega di mansioni rientranti nell’ambito delle funzioni dell’Autorità di gestione e/o dell’Autorità di pagamento, e, l’altro, alla delega delle funzioni gestionali e di pagamento connesse alla “gestione e all’attuazione di una parte del Programma Operativo”, mediante l’introduzione seguenti istituti: organismo intermedio, sovvenzione globale e sub-delega alle autorità urbane.

Per ciò che attiene alla istituzione di un organismo intermedio, si vuole contemplare la possibilità che mansioni di natura amministrativa-gestionale nei confronti dei beneficiari finali che attuano le “operazioni” possano essere svolte da “qualsiasi organismo o servizio pubblico o privato” a condizione che ciò avvenga “sotto la responsabilità di un’Autorità di gestione o di certificazione o per conto di questa Autorità” e che tali soggetti siano autorizzati come organismi intermedi per l’attuazione del Programma Operativo.

Così concepito, tale istituto svolge rispetto agli altri due istituti, sovvenzione globale e sub-delega alle autorità urbane una funzione matrice; infatti, condizione per l’affidamento di questi istituti è che i soggetti candidati a riceverle siano già stati designati come organismo intermedio e non più genericamente indicato quale “intermediario autorizzato” come nella programmazione 2000/2006. Quindi, l’organismo intermedio è un soggetto designato “per svolgere una parte o la totalità dei compiti dell’Autorità di gestione o di certificazione dei Programmi Operativi, sotto la responsabilità di detta Autorità”, previo accertamento del possesso dei requisiti occorrenti per lo svolgimento delle funzioni di gestione e controllo.

La sovvenzione globale è un conferimento di funzioni gestionali esteso alla gestione di una parte del Programma: l’Autorità di gestione del Programma Operativo “può delegare la gestione e l’attuazione di una parte dello stesso a uno o più organismi intermedi da essa designati, compresi gli Enti locali, gli Organismi di sviluppo regionale o le Organizzazioni non governative, che garantiscano la realizzazione di una o più operazioni secondo le modalità di un accordo concluso tra l’Autorità di gestione e tale organismo”. La peculiarità di questo istituto consiste nella attribuzione all’organismo intermedio prescelto sia della responsabilità della realizzazione di una o più azioni (o alla scala regionale o per ambiti sub regionali), sia della gestione dei relativi stanziamenti il cui ammontare costituisce appunto la sovvenzione globale. Costituiscono pertanto caratteri distintivi della sovvenzione globale che il Programma si componga di più azioni piuttosto che di una sommatoria di progetti, (tanto è vero che l’accordo contiene la fissazione dei criteri per la selezione dei progetti), che il soggetto intermedio designato abbia personalità giuridica e consistenza patrimoniale e che disponga di un’organizzazione

La “sub-delega” alle autorità urbane può essere concessa per entrambi gli obiettivi “Convergenza” e “Competitività regionale e Occupazione”, essendo stato previsto che i Programmi Operativi cofinanziati dal FESR contengano informazioni sull’approccio urbano sostenibile, e che possano contenere “l’elenco delle città selezionate per il trattamento della questione urbana e le procedure per la subdelega alle autorità cittadine, eventualmente tramite una sovvenzione globale.

Per quanto riguarda invece l’ unificazione attraverso il Q.S.N. della politica regionale, comunitaria e nazionale, per lo sviluppo locale, le forme associative degli Enti locali di cui al Capo V del d.lgs 18 agosto 2000 (TUEL) costituite per lo svolgimento in modo coordinato di funzioni o servizi determinati o per la realizzazione di opere o di programmi di intervento, rientrano a pieno titolo fra i soggetti designabili come organismi intermedi, se predisposti a svolgere le mansioni o le funzioni richiamate nei punti precedenti (da non confondersi con l’esercizio delle funzioni amministrative di ordinaria competenza dell’Ente locale quale beneficiario di sovvenzioni per la realizzazione di opere o servizi pubblici ), segnatamente per quanto concerne i programmi di interventi per lo sviluppo locale. Nel Q.S.N. è raccomandata la valorizzazione della previsione regolamentare – per le Regioni dell’Obiettivo “Convergenza” – di destinare risorse del FSE al sostegno di azioni intraprese collettivamente dalle parti sociali in specifiche aree territoriali per promuovere, tramite “il confronto fra gli Enti locali e il Partenariato economico-sociale”, l’affermarsi di una partnership socio-economica in grado di partecipare alle fasi di definizione, realizzazione, gestione e valutazione di progetti territoriali. Sono previste nell’ambito dei programmi regionali di sviluppo rurale risorse FEASR a sostegno di azioni ascrivibili allo sviluppo locale rurale, con caratteri del tutto simili alla sovvenzione globale, e a beneficio dei Gruppi di Azione Locali (GAL) a loro volta corrispondenti agli organismi intermedi.

Sempre in ambito di governance, di rilievo è altresì la priorità 8 del Q.S.N. dedicata alla “Competitività e attrattività delle città e dei sistemi urbani”, quali “azioni relative allo sviluppo urbano sostenibile”. Detta priorità si articola nell’obiettivo generale di “promuovere la competitività e l’innovazione delle città e delle reti urbane e migliorare la qualità della vita, puntando sulla selettività, sulle conoscenze, sull’integrazione fra le scale di programmazione” e in tre obiettivi specifici dedicati, rispettivamente, a: I) promuovere la competitività e l’innovazione delle città e delle reti urbane e fornire servizi di qualità ai bacini territoriali sovra comunali e regionali di riferimento; II) elevare la qualità della vita attraverso la lotta al disagio e alla marginalità urbana; III) favorire il collegamento delle città e dei sistemi territoriali con le reti materiali e immateriali dell’accessibilità e della conoscenza.

Inoltre, relativamente ai “rapporti fra Regioni-Comuni-Sistema delle Autonomie locali”, il Q.S.N. “definisce il ruolo e le attribuzioni delle Autonomie locali” e da indicazioni circa il conferimento di funzioni gestionali:

- per progetti e programmi per le città e sistemi metropolitani, la programmazione operativa regionale potrà adottare specifici Accordi di Programma da elaborare attraverso procedure negoziali che ne identifichino gli obiettivi strategici, i piani di investimento, la struttura e le fonti finanziarie, i meccanismi gestionali e amministrativi;

- per la gestione strategica, operativa, tecnica, finanziaria e amministrativa dei progetti integrati, sarà la programmazione regionale operativa a definire la divisione di responsabilità tra Regioni e Autonomie locali nelle diverse fasi del ciclo progettuale;

- il rafforzamento del partenariato istituzionale nel processo di programmazione.

Quanto previsto nel Q.S.N. è dunque un sistema di governance regionale multilivello per il coinvolgimento ordinario delle Autonomie locali nei processi di programmazione settoriale e generale dello Stato e della Regione, le cui fonti giuridiche nel nostro Ordinamento sono ravvisabili:

- negli artt. 3 e 4 del TUEL (D.Lgs. 18 agosto 2000, n.267) dedicati, rispettivamente, al sistema regionale delle Autonomie locali e alla programmazione regionale e locale a proposito della quale è previsto, in particolare, che “i Comuni e le Province concorrono alla determinazione degli obiettivi contenuti nei piani e programmi dello Stato e delle Regioni” e che la legge regionale “stabilisce forme e modi della partecipazione degli Enti locali alla formazione dei piani e programmi regionali e degli altri provvedimenti della Regione”;

- nel comma 4 dell’articolo 123 della Costituzione comportante l’obbligo della previsione negli Statuti Regionali della disciplina del Consiglio delle Autonomie Locali (CAL) quale organo di consultazione fra le Regioni e gli Enti locali, oltre che nei precedenti artt. 118 e 119;

- negli statuti regionali e nelle leggi regionali di procedure della programmazione, ove esistenti.

Ne consegue, alla scala regionale, è possibile una configurazione a due livelli composta da un “Consiglio delle Autonomie Locali” e da un “Tavolo interistituzionale” di origine negoziale per la stipula di un apposito Protocollo di intesa fra il Presidente della Regione e i Presidenti delle Associazioni regionali rappresentative degli Enti locali, per l’esame congiunto, con cadenza periodica, di questioni di comune interesse al fine della eventuale condivisione e preparazione delle relative soluzioni.

Questo assetto sopra rappresentato, contempla il superamento dell’organismo della Conferenza Permanente delle Autonomie Locali, di cui tutte le Regioni si sono dotate nel corso degli anni ‘90 e che ha generalmente funzionato come sede ordinaria per un confronto periodico fra Giunta regionale e i rappresentanti, variamente designati, delle Autonomie locali. E nei casi prevalenti in cui non esistano e non siano operanti né il Consiglio delle Autonomie locali, né il predetto Tavolo interistituzionale, è certamente raccomandabile che una qualunque sede sia istituita o attivata, a partire, ovviamente, dalla Conferenza Permanente degli Enti locali, affinché possano svolgersi regolarmente le funzioni del Partenariato istituzionale in ordine della redazione dei predetti programmi comunitari e della azioni F.A.S.

3. La governance come “networking”

La governance potrebbe essere definita anche come governo senza forza, non nel senso che debba essere governo debole, ma nel senso che i netti confini entro cui lo Stato ha esercitato la sua funzione di dominio in forma istituzionale sono costantemente rinegoziati, così come vengono continuamente rinegoziati i confini territoriali nel continuo rapporto “accoppiamento/devoluzione” tra i livelli locale, regionale, nazionale, europea, i confini tra pubblico e privato, per la capacità della sfera pubblica e per la pervasiva presenza degli interessi privati organizzati in ogni sfera della decisione politica ed infine, come i confini tra amministrazione pubblica e cittadinanza per la complessità raggiunta dalle sfere entro le quali le amministrazioni sono chiamate a operare.

L’architettura istituzionale che descrive i vari modelli di governance può essere sintetizzata nell’articolazione tra le componenti di mercato, imprese, Stato, comunità e associazioni, distinguendo una governance di tipo orizzontale, quella che si realizza tra mercato e comunità, ed una governance di tipo verticale come quella che si realizza tra imprese e Stato.

Occorre sottolineare che le relazioni reciproche che vengono così a svolgersi tra le diverse componenti della governance, tanto in termini di modalità di soluzione dei problemi, quanto in termini di coordinamento tra gli agenti economici di un sistema, consentono l’esercizio di quella funzione che è specifica della governance, cioè di superare i fallimenti del coordinamento nell’ambito delle politiche economiche nazionali e lo senza spreco di risorse. Pertanto, all’interno dei processi di governance il modello di coordinamento relazionale o interattivo che prevale è quello del “networking”, che si esplicita nella cooperazione diretta o “coo-petition” tra le piccole imprese, nella concertazione e in tutte le altre forme negoziali e pattizie (così come accade per la pianificazione strategica e la programmazione bottom-up), in accordi produttivi e commerciali internazionali (alliance capitalism) ed in nuove forme di cooperazione internazionale e interregionale.

Nello specifico di queste nuove forme di cooperazione internazionale e interregionale, definiscono una forma di governance territoriale reticolare, e quindi di networking, che sono state espressamente adottate e incentivate nella politica economica dell’Unione Europea che richiama in modo esplicito il tema del sostegno allo sviluppo locale e della partnership concertata, accanto alla promozione dell’espansione economica sostenibile e nel riequilibrio tra i sistemi economici e territoriali dell’Unione, anche nelle stesse politiche economiche più tradizionali e settoriali (infrastrutture, recupero urbano e tutela dell’ambiente ecc…), che sono rivolte al più generale obiettivo dello sviluppo, pur implicando processi di trasformazione del territorio su cui agiscono.

Sempre nell’ambito europeo, vi troviamo ribadito il principio di sussidiarietà. Tale principio ha trovato la sua formalizzazione in occasione del Trattato di Maastricht (1992) e si è esplicitato anche nella costituzione del Comitato delle regioni, con un ruolo consultivo, parallelo a quello del Comitato economico e sociale, dando così spazio ad maggiore autonomia e protagonismo ai governi regionali e locali.

Ancora, il libro bianco sulla governance della Commissione europea (2001) esplicita questa scelta strategica di focalizzazione sullo sviluppo locale e sull’approccio relazionale e di networking, per garantire maggiore efficacia alle politiche dell’Unione Europea. D’altronde, la stessa natura dell’Unione Europea risulterebbe del tutto incoerente con l’opzione di un approccio gerarchico e non reticolare-interattivo.

La conferma del ruolo assegnato al networking tra gli attori territoriali è constatabile soprattutto dalla crescente applicazione dei principi di concertazione e sussidiarietà, con la regionalizzazione dei programmi di sviluppo locale e il coinvolgimento degli enti e degli attori territoriali. L’utilizzo da parte delle regioni dei Programmi Operativi Regionali (P.O.R.) nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno (Q.C.S.), l’accorpamento nel ciclo di programmazione 2000-2006 degli obiettivi in tre categorie (obiettivo1, promozione e sviluppo delle regioni in ritardo; obiettivo 2, riconversione economica e sociale delle zone con difficoltà strutturali, tra cui le zone urbane in difficoltà; obiettivo 3, promozione dell’adeguamento e dell’ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione), e l’attuazione delle politiche dei fondi strutturali e degli altri fondi europei, testimoniano proprio l’uso del networking tra gli attori territoriali. Anche i Programmi di Iniziativa Comunitaria (P.I.C.), direttamente gestiti dalla Commissione, rivelano chiara attenzione networking attraverso i programmi territoriali concertati.

Infine, anche in quella che doveva essere la nuova Costituzione europea (2004) prevedeva diversi riferimenti alla governance, tra i quali ricordiamo quello contenuto nell’art. 3 che, nel recitare come segue “l’Unione Europea … promuove la coesione economica, sociale e territoriale”, introduceva la nozione di coesione territoriale quale nuova dimensione delle politiche di riequilibrio europee .

Per quanto riguarda l’Italia, una esperienza di networking, molto praticata è stata quella attinente alla gestione dei fondi strutturali europei e quella dei Laboratori di Governance nell’ambito del progetto “Sostegno alla Progettazione Integrata nelle Regioni del Centro Nord”. Tale progetto ha avuto come obiettivo quello di fornire supporto alle P.A. delle Regioni del Centro-Nord per l’attuazione dei Doc.U.P. Obiettivo 2, 2000-2006, ovvero per l’attuazione di progetti di sviluppo locale integrato, contribuendo in tal modo al rafforzamento delle competenze degli operatori coinvolti ai diversi livelli di programmazione, progettazione e gestione dei progetti. Si è trattato di percorsi di progettazione ed in parte di programmazione fondamentalmente autonomi, influenzati soprattutto dalle specifiche esperienze locali e dalle visioni e riferimenti culturali dei policy maker regionali, oltre che dai modelli delineati per il Sud dalla politica dei fondi strutturali per le regioni ad obiettivo 1, che hanno portato alla elaborazione di un modello di governance basato essenzialmente su uno sviluppo condiviso, sistemi di partnership verticale e forme di networking tra promotori e destinatari di queste politiche.

Centrale nell’ambito di questa esperienza è stato il cosiddetto “modello di decentramento”, ovvero un approccio operativo in cui, oltre a considerare tutti quegli elementi di un programma che attribuiscono funzioni specifiche ai livelli locali – in particolare ai partenariati – nel sistema di relazioni che collega le istituzioni che promuovono le politiche ai beneficiari finali (partnership verticale), che si è basato su attività di animazione locale finalizzata al

- decentramento decisionale (possibilità di partecipare alle scelte che “orientano” l’attuazione del PO nel proprio sistema territoriale);

- decentramento amministrativo (attraverso il quale si attribuisce un ruolo nel sistema di procedure amministrative che regolano il ciclo di progetto);

- decentramento finanziario (attraverso il quale si attribuisce un ruolo nell’erogazione delle risorse).

In funzione di ciò, le principali attività che sono state svolte sono le seguenti: diagnosi strategica; predisposizione e approvazione di progetti territoriali integrati; acquisizione e selezione per le operazioni da finanziare; informazione e pubblicità; assistenza tecnica; monitoraggio periodico fisico e finanziario; erogazione dei contributi; rendicontazione; vigilanza sulla realizzazione; rimodulazione; controllo; valutazione.

2. Gli elementi del processo di governance

Fino ad oggi, nell’ambito dei processi di “policy-making” e di “policy-analysis”, utilizzati nell’ambito dello sviluppo locale, la formulazione delle scelte politiche è rimasta essenzialmente ancorata ad un riferimento teorico classico, che è quello formulato dal Dunn (2007). Ciò che invece è cambiato riguarda le modalità attraverso le quali si determinano le scelte ed in particolare le modalità con cui i portatori di interessi (stakeholders) pongono definiscono e strutturano i problemi nella prima fase, tanto nel processo di “policy-making” (Agenda), quanto nella prima fase del processo di “policy-analysis” (Strutturazione del problema).

L’affermarsi di un nuovo approccio partecipativo e negoziale nell’ambito delle politiche di sviluppo del territorio basate sulla ricostruzione della coesione sociale ha significato per il processo di “policy-making” (e per l’Italia) una rivisitazione del ruolo delle istituzioni intermedie e ha trovato la sua ragion d’essere in alcuni importanti e significativi mutamenti che sono avvenuti negli ultimi anni, ovvero:
- nel coinvolgimento dei medesimi territori nel generale processo di globalizzazione dell’economia, anche per effetto delle “Information and Comunication Technology” (I.C.T.);
- nell’acquisizione di una nuova consapevolezza basata sulla convinzione che il territorio e l’identità locale non rappresentano solo una risorsa competitiva degli attori economici, ma anche un bene comune che definisce l’orizzonte progettuale di ogni comunità locale;
- nei naturali processi di crescita dei territori rimasti ai margini o esclusi dalle traiettorie di sviluppo espresse dai poli della grande industria;
- nell’ampliarsi del processo di integrazione europea che ha evidenziato marcate tendenze verso forme di neoregionalismo e, più in generale, verso la riaffermazione del ruolo delle “periferie” nei processi di “policy-making”;
- nella crisi del “fordismo” ed il successivo passaggio verso il “postfordismo”, che hanno dapprima messo in discussione la centralità dello Stato quale elemento fondamentale nel sistema di regolazione economica, poi hanno fatto emergere sistemi flessibili di piccola e media impresa a forte connotazione localistica ed infine hanno elevato il ruolo delle istituzioni locali nella definizione delle politiche locali;
- nel convergere degli obiettivi dello Stato e dell’Unione Europea per favorire l’importante ruolo delle politiche locali, combinando gli obbiettivi di questi alle politiche nazionali ed europee attraverso il principio della “sussidiarietà” (il governo nazionale, con le sue agenzie, interviene nella soluzione dei problemi in caso di manifesta incapacità dei governi di livello locale);
- nella nascita delle “istituzioni di meso-livello”, intermedie tra il livello micro (informale) rappresentato dai rapporti interpersonali e particolaristici basati sulla fiducia e la reciprocità che si sviluppano all’interno delle famiglie, delle imprese e delle comunità locali, all’interno cioè delle cosiddette “istituzioni sociali di base” e il livello macro (formalizzato), rappresentato dalle relazioni impersonali, formalizzate e standardizzate.
Tutti questi mutamenti hanno dunque determinato uno spostamento nella formulazione dei processi di “policy-making” dal livello nazionale al livello territoriale, portando così diversi studiosi ad elaborare il termine di “policy territoriale”. Ovviamente questo processo è abbastanza recente e perciò ancora lontano da una formulazione e da una strutturazione teorica univoca; tuttavia, la sua breve durata non impedisce l’individuazione di diversi elementi che sono propri del processo di “governance”.
Gli elementi di questo processo sono:
- la partecipazione, ovvero meccanismi di coinvolgimento “ex-ante” e “in-itinere” continui, ampiamente pubblicizzati e metodologicamente adeguati, predisposti per supportare i rappresentanti delle diverse realtà locali attraverso strumenti e momenti strutturati di consultazione interna e co-decisione. Sul fronte dei rapporti, i governi locali abbisognano di un’attività di formazione e informazione continua con i “policy-makers”, che è estremamente dispendiosa di tempo ma essenziale per la buona riuscita del processo;
- il ruolo fortemente incisivo degli animatori dello sviluppo locale. Per stimolare e promuovere l’elaborazione di progetti innovativi e di qualità, il processo di emersione e individuazione di tali progetti deve essere organizzato e accompagnato con tecniche di valutazione consolidate e reso continuo nel tempo attraverso strumenti stabili di progettazione collettiva. In un percorso di governance locale, per sua natura volonlaristica, fondato sul contributo spontaneo di tutte le componenti sociali di un territorio, diventano fondamentali metodologie e strumenti complessi e verificati empiricamente;

- il metodo. La governance richiede creatività, passione, ma anche metodo. Diventano importanti a tal proposito i contributi di centri di ricerca locali, agenzie di sviluppo e laboratori universitari che possono offrire supporto metodologico per l’attivazione e l’azione dei gruppi di lavoro, coordinamento tecnico dei diversi strumenti operativi, elaborazione dei diversi documenti di analisi e progettazione. E questo un nuovo ruolo di accompagnamento e animazione dello sviluppo che in Italia sta acquistando una propria configurazione indotta da un lato dalla necessità di organizzare e gestire le nuove forme di programmazione negoziata, in particolare i patti territoriali, o di utilizzo dei fondi strutturali europei per le aree obiettivo, e dall’altro lato dalla recente diffusione di politiche territoriali di marketing e attrazione di investimenti esterni;
- nuove figure professionali. Un processo di governance necessita di qui nuovi ambiti e di nuovi percorsi di formazione terziaria per gli operatori dello sviluppo locale che accompagnano gli amministratori locali, la dirigenza della pubblica amministrazione, le agenzie di sviluppo, le associazioni di categoria, le rappresentanze imprenditoriali e sociali, che sono capaci di promuovere il territorio, supportare le istituzioni e gli attori dello sviluppo, ed infine, che sono in grado di favorire i processi di partecipazione e programmazione negoziata, implementare la valutazione e il monitoraggio delle politiche attivate.
- gli attori privati. Altro fattore rilevante per il successo delle strategie di sviluppo locale è riconducibile alla presenza attiva dei partner privati: in particolare, le categorie economiche devono sostenere pienamente il percorso fin dalle sue fasi iniziali, anche attraverso forme esplicite di codificazione di questo ruolo designando coordinatori o comitati strategici o gruppi guida. Senza la spinta motivante e critica di operatori economici e sociali privati, il percorso concertativo non avrebbe la stessa credibilità a livello locale. Il grado di fiducia nelle istituzioni da parte degli operatori privati e la fiducia delle istituzioni verso i privati incide in modo determinante sui successo del processo pianificatorio, soprattutto rafforzando la coesione e lo sforzo collettivo a continuare a dedicarsi al percorso;
- lo sforzo attuativo. Uno dei nodi che si deve affrontare nell’ambito del processo di governance è rappresentato dal passaggio dalla fase progettuale a quella attuativa e lo sforzo che si richiede propende verso il ricorso alle “best practices”, una robusta attività di valutazione “in-itinere” ed “ex-post”, il monitoraggio dello stato di avanzamento dei singoli progetti, e, nello stesso tempo, il costruire e ricostruire continuamente le motivazioni, le responsabilità e il consenso sul processo;
- la gestione della governance. Una volta ricostruita la governance territoriale in base a principi di coordinamento reticolare ed interattivo, è necessario anche prevedere forme di apprendimento evolutivo delle forme di cooperazione territoriale e istituzionale. Si tratta di pensare a percorsi di “gestione” della governance, sia per modificare e perfezionare di continuo i meccanismi partecipativi, sia per introdurre innovazioni di metodo e organizzazione a fronte di possibili cambiamenti di scenario, esterni e interni, derivati da trasformazioni economiche, istituzionali, dai rapporti di forza tra gli attori, dall’ingresso di nuovi soggetti, dall’emersione di nuovi interessi, dall’evoluzione dei valori alla base del “patto” territoriale. In tale prospettiva, il ruolo delle autorità pubbliche locali acquista dimensioni di riequilibrio. mediazione e stimolo, tipicamente da “interfaccia” delle relazioni tra gli agenti, verso processi di autoapprendimento e innovazione istituzionale governati in ottica interattiva;
- predisposizione di un piano operativo strategico. Un percorso di corretta definizione di politica locale e/o di piano programma, progetto, deve seguire, in conclusione, alcuni criteri guida che possono essere considerati come regole per una strategia di sviluppo locale di successo: la vision, l’integrazione, più partnership e meno controllo gerarchico, credibilità degli attori privati, il supporto politico, finanziario e tecnico degli enti locali, la fiducia e la cooperazione tra tutti gli stakeholders, la ripartizione delle responsabilità, il processo di adeguamento continuo.

Pietro Perrucci