lunedì 24 maggio 2010

Origini e fondamento giuridico della Politica di Coesione. Principali riferimenti, storici, filosofici e metodologici

Metodo. Il tema è stato sviluppato tenendo conto di due aspetti, quello storico e quello filosofico del diritto, in piena conformità allo spirito ed ai contenuti del master Pegaso.

Scelta dell’argomento. La “politica di coesione” si presta molto bene a sviluppare sia aspetti storici che filosofico-giuridici; inoltre, da un punto di vista più professionale, è possibile essere parte di un Programma Operativo Nazionale sulla “Sicurezza per lo Sviluppo” di cui l’Autorità di Gestione è il Ministero degli Interni.

Riferimenti storici
- 1951 Nasce la CECA (Comunità Europea per il Carbone e l’Acciaio).
- 1957 Nasce l’Euroatom (Comunità Europea per l’Energia Atomica) e la CEE (Comunità Economica Europea) dove si trovano le origini della politica di coesione (interessamento per le aree deboli nel preambolo del Trattato Istitutivo della CEE, istituzione del Fondo Sociale Europeo – FSE – e della Banca Europea degli Investimenti – BEI).
- 1962 Istituzione del Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia in Agricoltura (FEOGA).
- 1972 Vertice Europeo di Parigi, si statuì per la prima volta la volontà degli Stati membri di coordinare a livello europeo le loro politiche interne di sviluppo regionale, per meglio utilizzare le risorse della BEI, del FSE e del FEOGA.
- 1973 Allargamento della CEE a Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca.
- 1975 Istituzione del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR).
- 1981 Ingresso della Grecia nella CEE e adozione del Programmi Integrati Mediterranei (PIM), ovvero i primi interventi di politica di coesione
- 1985 Vertice Europeo di Milano dove si decise che i tre fondi FSE FESR FEOGA, oltre a creare il mercato unico europeo, dovevano diventare i principali strumenti per il superamento delle disparità economiche tra le regioni europee e il cambio del metodo di ripartizione dei finanziamenti FESR (metodo delle forcelle).
- 1986 Allargamento della CEE a Spagna e Portogallo
- 1987 Adozione Atto Unico Europeo (AUE), modifiche al Trattato CEE mediante l’introduzione del Titolo V “Coesione economica e sociale” che costituisce il fondamento giuridico della politica di coesione e modifiche ai tre fondi europei FSE FESR FEOGA che acquisiscono valenza strutturale (nell’eliminare i divari e le disparità tra le regioni incidono anche sulla struttura e sul meccanismo del mercato).

Riferimenti filosofico-giuridici (Principi della politica di coesione)
- Preambolo Trattato istitutivo della CEE, nel cui fu scritto che gli Stati membri volevano “… rafforzare l’unità delle loro economie e … assicurare il loro sviluppo armonioso riducendo le disparità esistenti tra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite”;
- Programmi Integrati Mediterranei, il partenariato di responsabilità, tra i vari livelli istituzionali partecipanti alla preparazione e all’attuazione dei programmi, la responsabilità gestionale primaria delle regioni, il cofinanziamento nazionale ai vari progetti, la valutazione delle previsioni e dei risultati realizzati;
- Titolo V “Coesione economica e sociale” dell’Atto Unico Europeo che modifica il Trattato CEE del 1957 e costituisce con i suoi articoli il fondamento giuridico della politica di coesione (Artt. 130 A, 130 B, 130 C, 130 D e 130 E);
- Rafforzamento delle politiche regionali, con il raddoppio delle risorse destinate ai tre fondi FSE, FEOGA e FESR, riforma della Politica Agricola Comune (PAC), e riforma del bilancio comunitario con nuove entrate legate al Prodotto Interno Lordo (PIL) dei singoli Stati membri;
- Ulteriori principi la concentrazione degli interventi in obiettivi, la programmazione, con strategie pluriennali di sviluppo stabilite attraverso un procedimento di concertazione/negoziazione a varie tappe e con sistemi di monitoraggio e di valutazione dei vari interventi, partenariato verticale ed orizzontale e il principio dell’addizionalità, che prevedeva la partecipazione dello Stato membro ai programmi europei con risorse proprie.

Sintesi discorsiva
La politica di coesione ha ad obiettivo il superamento dei divari e delle disparità economiche e sociali esistenti tra le varie regioni d’Europa. Essa è un campo di studi molto vasto e molto articolato, nel quale è abbastanza facile incorrere in errori ed imprecisioni e un errore che si compie di frequente è quello di attribuire le origini della politica di coesione all’Atto Unico Europeo, atto sottoscritto nel 1986 ed entrato in vigore nel luglio del 1987, nel quale la politica di coesione trova sicuramente il suo fondamento giuridico, ma non per questo anche le sue origini.
Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo affrontarono per la prima volta la questione delle aree deboli nell’ambito del Trattato istitutivo della CEE (Roma, 1957) e una testimonianza di questo interessamento per le aree deboli la si trova proprio nel preambolo di questo Trattato, dove fu scritto che gli Stati membri volevano “… rafforzare l’unità delle loro economie e … assicurare il loro sviluppo armonioso riducendo le disparità esistenti tra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite”. In questo contesto, dunque, tutti gli Stati Membri erano convinti che la riduzione delle disparità (tra le regioni europee) poteva essere ottenuta indirettamente con l’istituzione di un mercato comune, in conseguenza del quale vi sarebbe stato anche un progressivo allineamento delle politiche economiche dei singoli Stati membri. Sempre in questo ambito si istituì Banca Europea degli Investimenti (BEI) e il Fondo Sociale Europeo (FSE), cioè due degli attuali strumenti della politica di coesione, cui seguì poi nel 1962 l’istituzione di un altro strumento della politica di coesione, ossia il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEOGA).
Successivamente, durante il Vertice europeo di Parigi del 1972, oltre a discutere dell’allargamento della CEE a Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, si statuì per la prima volta la volontà degli Stati membri di coordinare a livello europeo le loro politiche interne di sviluppo regionale, per meglio utilizzare le risorse della BEI, del FSE e del FEOGA. Inoltre, a seguito di questo vertice, nel 1975 fu istituito anche il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), e ciò rappresenta la seconda importante conseguenza del Trattato CEE del 1957.
Nel 1981, la Grecia diventa Stato membro della Comunità europea e con l’ingresso di questo paese fu decisa l’adozione dei primi programmi pluriennali di sviluppo socioeconomico regionale, denominati appunto “Programmi Integrati Mediterranei” (PIM). I PIM si caratterizzavano soprattutto per un nuovo approccio metodologico, basato sulla programmazione a medio termine e sull’uso coordinato dei diversi strumenti di finanziamento che sostituì il vecchio sistema di finanziamento indirizzato solo sui singoli progetti. Perciò, sul piano giuridico i PIM introdussero dei principi innovativi che sono ancora oggi alla base dell’attuale politica di coesione, e cioè:
- il partenariato di responsabilità, tra i vari livelli istituzionali partecipanti alla preparazione e all’attuazione dei programmi;
- la responsabilità gestionale primaria delle regioni;
- il cofinanziamento nazionale ai vari progetti;
- la valutazione delle previsioni e dei risultati realizzati.
Questo modo di elaborare gli interventi si consolidò poi con l’entrata nella CEE di Spagna e Portogallo (1986). Decisivo, a tal proposito, fu soprattutto l’esito del Consiglio europeo di Milano del 1985, dove l’allora Presidente della Commissione europea J. Delors, oltre a ribadire l’impegno ad eliminare tutte le barriere ancora esistenti al commercio ed alla mobilità dei fattori produttivi all’interno della Comunità, indicò che i tre fondi europei creati fino a quel momento (FSE, FEOGA, FESR) dovevano diventare i principali strumenti, sia per completare la realizzazione del mercato unico europeo, sia per superare le disparità regionali. Lo stesso Presidente Delors, inoltre, modificò anche il sistema di ripartizione dei finanziamenti del FESR, introducendo il cosiddetto “metodo delle forcelle” (a margini definiti), che sostituiva il vecchio sistema di ripartizione dei finanziamenti basato su “quote nazionali”, e ciò allo scopo di concentrare maggiormente gli interventi nelle regioni meno sviluppate.
Quindi, al momento della stipula dell’Atto Unico Europeo (AUE), la politica di coesione era già in atto da 20 anni ormai; per cui, in questo contesto non si fece altro che sancire formalmente il superamento dell’idea di una comunità intesa esclusivamente come mercato comune, e quindi come area di libero scambio, e riconoscere così che la coesione economica e sociale doveva essere, al tempo stesso, obiettivo importante della Comunità Economica Europea e strumento essenziale per il completamento del mercato unico. Pertanto, i cinque articoli dell’AUE che introdussero il Titolo V nel Trattato CEE di Roma del 1957 non fecero altro che elevare a diritto comunitario tutti quegli interventi, quelle scelte e quelle politiche economiche, che erano già state intraprese dalla CEE, già prima dell’AUE, per superare le disparità tra le aree deboli e le aree più sviluppate della Comunità europea, dando finalmente quel fondamento giuridico che mancava alla politica di coesione della Comunità europea.

Lotta al lavoro sommerso e piano per l’occupazione

Grazie ad un percorso di studi nell’ambito del lavoro sommerso si è potuto constatare che nel nostro ordinamento giuridico si sono succeduti fino ad ora almeno quattro modelli di emersione - tutti posti a fondamento delle varie politiche di contrasto al fenomeno del lavoro irregolare - e che nessuno di questi è riuscito a risolvere questo problema. Infatti, la quota di economia sommersa resta sempre molto elevata rispetto all’economia ufficiale (20-25% del PIL) e questo malgrado sia la molteplicità di soggetti istituzionali coinvolti nel definire le azioni di contrasto (Unione europea, Parlamento, Governo e regioni), sia la notevole produzione legislativa che è stata messa in atto.
Sulla inefficacia di tali modelli di emersione, vi sarebbe un doppio livello di inefficienza. Il primo riguarda l’effettività delle norme formalmente in vigore nella lotta al lavoro irregolare: sotto questo aspetto, è possibile parlare di un consistente sfasamento tra diritto e realtà dei fatti, che farebbe emergere la necessità di continuare a razionalizzare e/o ottimizzare le politiche di contrasto al lavoro prestato irregolarmente e ciò intervenendo sia sul piano più strettamente giuridico-legislativo, sia sul piano più strettamente sanzionatorio. Il secondo, riguarda l’efficacia del diritto vigente, laddove le politiche di contrasto al lavoro sommerso non sembrano essere adeguate, vicine, alla realtà sociale in cui vengono calate.
Da questo doppio livello di inefficienza è possibile ricavare una riflessione e cioè che in Italia, la lotta al lavoro regolare la si è affrontata più da un punto di vista giuridico legislativo e meno da un punto di vista politico-sociale. Infatti, possiamo dire che alla luce di quanto osservato, tutti i modelli di emersione adottati sono carenti di una “analisi di contesto” e di approcci strategici; per cui, pur arrivando ad indicare nuove elaborazioni filosofico-concettuali (come nel caso del concetto di “lavoro dignitoso” dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro), è mancato un vero e proprio piano strategico che affrontasse contemporaneamente sia la lotta al lavoro sommerso, sia la lotta al grave problema della disoccupazione che, come si sa, è il principale fattore che genera lavoro sommerso.
In altre parole, se si è compreso che da un punto di vista legislativo per sconfiggere il lavoro regolare c’è bisogno della più ampia e corretta logica della promozione all’adempimento contributivo e fiscale, da un punto di vista più politico più sociale c’è bisogno di interventi che incidano più direttamente sulle cause che generano lavoro sommerso e quindi su interventi alla lotta per la disoccupazione.
Per questo, mi auspico che le istituzioni che operano in questo settore comprendano finalmente che ciò che manca nel nostro paese non è tanto un nuovo modello di emersione dal lavoro e dall’economia sommersa, quanto è un vero e proprio “Piano per l’occupazione”.
Sotto questo aspetto, dunque, l’emersione non si identificherebbe più soltanto come una questione meramente giuridica e quindi non si esplicherebbe più come un processo di migliore approssimazione (sotto il profilo qualitativo) a quelli che sono i principi della legalità e della sicurezza sociale del nostro ordinamento, ma si identificherebbe soprattutto come politica sociale (come già detto), nell’obiettivo più ampio della coesione economica e sociale, obiettivo cui dovrebbe finalizzarsi ogni modello giuridico-legislativo di contrasto al lavoro sommerso.

La crisi greca. Cause, barzellette, previsioni, conclusione

LE CAUSE. Gli Stati membri dell’Unione Europea decisero con il Trattato di Maastricht del 1992 di puntare a rigide e severe politiche monetarie e finanziarie in grado di mantenere elevato e di accrescere nel tempo il valore dell’euro. Sebbene lo scopo di tali scelte era quello di dare all’Europa uno strumento in grado di farla diventare la più grande potenza nell’economia della globalizzazione, di contro la scienza economica ci dice che per realizzare un obiettivo di questo tipo è necessario che l’economia di ogni Stato membro deve avere un andamento, un trend, sempre positivo nel tempo e, soprattutto, è necessario che il sistema del mercato non deve essere affetto da distorsioni. Pertanto, in assenza di queste due condizioni, è verosimile che politiche monetarie e finanziarie come quelle adottate per l’Euro comportino enormi sacrifici economici e sociali, che a loro volta possono inficiare le performance del PIL dei vari paesi, innescando meccanismi perversi con deficit di bilancio e aumenti di debito pubblico. La crisi della Grecia è conseguenza proprio di questa seconda eventualità: infatti, la mancanza di una efficiente economia di mercato e l’adozione di rigide politiche monetarie e finanziarie per sostenere l’Euro come moneta, hanno spinto questo paese a fare notevoli sacrifici economici e sociali che, a loro volta, hanno inficiato la performance del loro PIL, hanno aumentato il deficit di bilancio e quindi hanno aumentato il debito pubblico. Sicché, in prossimità della scadenza di un prestito obbligazionario di Stato, il Governo greco si è trovato nella impossibilità di pagare questo debito ed aveva chiesto perciò aiuto agli altri paesi europei, che sono intervenuti con una somma di 14,5 miliardi di euro.

LE BARZELLETTE. Nel consentire l’intervento degli stati europei in favore della Grecia, l’UE non è stata affatto convincente nel spiegare come mai un suo Stato membro si fosse ridotto in queste condizioni; anzi, per essere più precisi, sulla crisi greca, organi e istituzioni UE non si sono pronunciati in maniera univoca: è stato detto che non avrebbero potuto prevedere un simile fatto, oppure che il governo greco aveva volutamente occultato i conti economici pubblici, o ancora, fatto più grave, è stato detto persino di non aver voluto controllare i conti pubblici e di aver invece voluto continuare a dare fiducia al governo greco, così semplicemente sulla parola.
Come cittadino europeo sono abbastanza sbalordito per queste affermazioni e mi sento letteralmente preso per i fondelli: oltre al fatto che non è assolutamente accettabile che l’UE tenti di spiegare le cause della crisi greca con delle barzellette, va rilevato che era risaputo che, da molto tempo, la Grecia non era in grado di dar vita ad una economia di mercato e quindi era anche risaputo che non poteva essere in grado di dar vita a processi economici virtuosi, reali e soprattutto efficienti, al pari di quelle di altre economie mature di altri paesi dell’Euro. E questo, anche alla luce dell’esito negativo che ha dato l’impiego delle enormi risorse dei fondi strutturali, da 25 anni a questa parte. Pertanto, la mia opinione sulla crisi greca è che quasi tutti i maggiori paesi europei (Francia e Germania soprattutto) sapevano che si era in presenza di un paese economicamente in seria difficoltà, con grosse inefficienze e che quindi aveva poche probabilità di riuscire a costruire una economia di mercato, ovvero che aveva pochissime probabilità di mantenere a lungo nel tempo rigide politiche monetarie per sostenere l’Euro, se non a prezzo di grossi sacrifici economici e sociali che, poi, avrebbero finito per mettere in crisi la sua stessa economia. Di conseguenza, viene molto facile pensare che la crisi greca sia stata appositamente provocata, in maniera da permettere un intervento degli altri stati europei che, nell’aiutare il governo greco, lo costringeranno, prima o poi, a privatizzare le sue imprese pubbliche, a vendere beni pubblici/demaniali, a cedere loro quote di mercato, insomma a svendere le proprie ricchezze ai paesi che sono corsi in suo aiuto.

LA PREVISIONE. l’aspetto più preoccupante di questa crisi è che quanto accaduto in Grecia possa ripetersi anche in Portogallo, in Spagna, in Italia (forse qui è già accaduto e nessuno ha detto niente), e nei paesi di nuova adesione (ex paesi dell’Est), di cui dubito fortemente che le loro economie possano marciare in maniera efficiente con il meccanismo del mercato e con rigide politiche monetarie in sostegno dell’Euro. Infatti, vorrei far presente che il mercato non è un meccanismo perfetto: di per sé, tende a produrre delle distorsioni – in maniera quasi fisiologica – quali sono ad esempio la concentrazione delle attività produttive in poche imprese e l’aumento dei prezzi che così non saranno più definiti dalla libera contrattazione tra domanda e offerta, ma saranno definiti da accordi o da cartelli tra imprese. Pertanto, se già il mercato di uno Stato membro è destinato a non funzionare in maniera efficiente, è molto probabile che questo paese, per sostenere rigide politiche monetarie e finanziarie come quelle decise dalla Banca Centrale Europea, ricorrerà ai sacrifici dei propri cittadini, esponendo così il paese a pericolose crisi, ovvero, alla necessità di interventi finanziari dei maggiori paesi europei, Francia e Germania prima di tutti. Ebbene, se questo è il trend, se questa è la tendenza, vorrà dire che si è scoperto il trucco dell’Unione Europea: aggregare quanti più paesi possibili, fargli adottare l’euro, spingerli ad adottare rigide politiche monetarie e finanziarie, mandarli in crisi e finalmente appropriarsi delle loro economie e delle loro risorse. Per questo obiettivo, andrebbe bene anche soltanto aggregare paesi, senza che questi adottino l’Euro, tanto è sufficiente introdurre il meccanismo del mercato che con le sue fisiologiche distorsioni, prima o poi, manderebbe in crisi le economie di questi Paesi, dando così la possibilità a Francia e Germania di intervenire con il loro aiuto, ovvero di appropriarsi delle loro economie e delle loro ricchezze.

UNA CONCLUSIONE. Alla luce di quanto emerso dalla crisi greca, posso sostenere che l’Unione Europea, più che una forma di cooperazione tra i suoi Stati membri, è uno strumento creato per dare finalmente la possibilità a Francia e Germania di realizzare il loro sogno di egemonia sull’Europa; inoltre, stando a quello che si è visto in 60 anni di Comunità europea è vero che questa funziona anche come loro comune strumento di pace, però funziona sopratutto per la Francia e la Germania che così possono spartirsi i mercati e le ricchezze degli altri paesi europei, evitando che si facciano guerra tra loro e che i loro contrasti possano generare nuove guerre mondiali, così come già accaduto per la Prima e per la Seconda Guerra Mondiale.

Principali voci di costo e di ricavo per il business plan di un asilo.

- LOCALI: acquisto o fitto, lavori di ristrutturazione, progettazione lavori, licenze e permessi, certificazioni, tasse (Tarsu, INVIM, ecc…), pratiche di mutui e interessi su mutui, manutenzione ordinaria e straordinaria, pulizia, assicurazione, sicurezza sul lavoro,

- IMPIANTI (idrico-sanitario, elettrico e di illuminazione, antincendio, telefono e internet, stereo-video, supporti per diversamente abili): Progettazione, installazione, materiale, certificazione, manutenzione ordinaria e straordinaria, costo di funzionamento (orario, giornaliero o mensile), assicurazione, pratiche di mutui e interessi su mutui,

- PRONTO SOCCORSO/INFERMERIA: Attrezzi ed apparecchiature elettromedicali per pronto soccorso, arredi, personale specializzato o formazione per pronto soccorso, materiale di consumo monouso o monodose, presidi farmaceutici e sanitari, detergenti, assicurazione per bambini, dipendenti e terzi,

- AUTOMEZZI: (auto di servizio e scuolabus): acquisto o noleggio, assicurazione, bollo, custodia, carburanti, manutenzione ordinaria e straordinaria, pratiche di mutui e interessi su mutui, certificazione, autista, formazione per patenti particolari,

- CUCINA: attrezzature ed apparecchiature, posateria, personale e formazione HACCP, sicurezza, presidi per detersivi, arredi e costi per sala mensa, acquisto detersivi, manutenzione ordinaria e straordinaria, pratiche di mutui e interessi su mutui, certificazione, acquisto alimenti,

- SALA STUDIO/LETTURA: mobili e arredi, pulizia, personale per docenza, materiale didattico, manutenzione ordinaria e straordinaria, pratiche di mutui e interessi su mutui, certificazione asilo, eventuali ulteriori adeguamenti impianti, sicurezza,

- SALA GIOCHI: mobili e arredi, pulizia, personale, giochi e materiale ludico-didattico, manutenzione ordinaria e straordinaria, pratiche di mutui e interessi su mutui, certificazione asilo, eventuali ulteriori adeguamenti impianti, sicurezza,

- SALA RIPOSO (opzionale): lettini, cucine, culle, lenzuola, certificazione, eventuali ulteriori adeguamenti impianti, sicurezza,

- AMMINISTRAZIONE: contabilità, consulenze varie, apparecchiature d’ufficio e arredi, spese di impianto azienda, formazione personale.

+ RETTE MENSILI (scuola materna, nido, baby park, doposcuola, mininido)

+ PROVENTI DA PROGETTI E PROGRAMMI (sport, cultura, turismo, cooperazione, programmi medico-preventivi e/o didattico-educativi)

+ SPONSOR

+ EVENTI E MANIFESTAZIONI

+ PROGRAMMI DI STUDIO E DI RICERCA (in collaborazione con enti locali, università, istituti specializzati, grandi aziende, centri studio e ricerca)

+ SERVIZIO SOCIALE (prestazioni per particolari utenti di centri sociali o per bambini di famiglie con gravi problemi di integrazione/inserimento sociale, case alloggio, servizi notturni/diurni).