martedì 5 febbraio 2008

La programmazione sociale: uno strumento contro devianza, processi di esclusione e malattia sociale

Perché gli attuali modelli contemporanei di società, nonostante i progressi compiuti nell’ambito dello sviluppo socio-economico, nelle politiche di welfare, di assistenza, di prevenzione dei crimini e di recupero sociale, continuano a generare ancora rilevanti fenomeni di devianza? Quali sono gli strumenti che si possono utilizzare per tentare di capire questo fenomeno? E soprattutto, con quale strumento si deve intervenire?
Sebbene recenti scoperte scientifiche dimostrano empiricamente l’esistenza di una predisposizione genetica di ogni individuo ad assumere atteggiamenti devianti (appunto per ciò che è scritto nel DNA) e sebbene studi statistici come quello dell’Organizzazione mondiale della Sanità (WHO) dimostrino come nella nostra società contemporanea una persona su quattro, nella vita, va in­contro a un disturbo psichico di una certa ri­levanza che, nell’80% dei casi, sarà causa di una qualche forma di devianza, ritengo che la questione non può essere spiegata solo in questi termini. La complessità del tema, infatti, è molto vasta ed un modo per dare una risposta adeguata alle domande di partenza sarebbe quello di ripercorrere attraverso uno studio, “l’evoluzione del pensiero filosofico e sociologico sulla devianza”, partendo dal ‘500, ovvero dall’inizio dell’epoca moderna.
A prima vista, uno studio del genere, porterebbe a pensare ad una complicazione della questione a causa dei numerosissimi riferimenti storici, teorici, ideologici e culturali; invece, quello che ho realizzato tra il 2005 ed il 2006, facendo leva su di un metodo di lavoro che, pur mantenendosi essenzialmente nell’alveo “socio-filosofico”, ha guardato anche alle numerose implicazioni interdisciplinari - tipiche di questo tema - è riuscito ugualmente ad arrivare ad una sintesi. Ovviamente, si è trattato di una sintesi molto articolata, ma proprio per questo è risultata essere molto più precisa e molto più appropriata rispetto alle domande da cui si partiva.
Attraverso questo studio, dunque, si è potuto osservare che in qualsiasi epoca, in qualsiasi paese ed in qualsiasi contesto socio-politico, le cause della devianza possono avere una chiave di lettura che ruota principalmente intorno a tre temi fondamentali: il sesso, il possesso e la lotta per il potere. Questa sorta di “retaggio antropologico” che l’uomo si porta da dietro da sempre è altresì presente nelle sociètà contemporanee, anche se qui sembra subire quasi una sorta di “attenuazione fenomenologia” a riguardo soprattutto le prime due questioni, sesso e possesso, essendo questi aspetti continuamente mitigati, il primo da molteplici processi culturali e il secondo da politiche di welfare e benessere. Pertanto, la maggior parte delle forme di devianza presenti nelle società contemporanee riguardano la lotta per il potere.
In particolare, possiamo dire che oggi molto elevati restano i livelli di conflittualità sociale e sono ancora molto presenti manifestazioni violente legate alla lotta per il potere. Invece, in forte ascesa, per quantità e per tipologia di manifestazione, sono le forme di devianza legate ad “atti non violenti”, legati sempre nella lotta per il potere o, se si preferisce, legati alla “logica” del suo mantenimento. Altresì in ascesa, risultano essere quelle forme di devianza stretta conseguenza dei forti “processi di esclusione di ampi settori della popolazione” dalla vita attiva e da un ruolo attivo nell’ambito della società, per effetto di processi economici, ivi compreso quello della “globalizzazione”.
Questi fenomeni sono molto presenti soprattutto nei contemporanei modelli di società neoliberali. Addirittura, in taluni passaggi di questo studio, è stato possibile dimostrare la tesi di un contemporaneo studioso francese - Loïc Wacquant - in base alla quale la causa del crescente numero dei processi di esclusione sta proprio negli scopi e nei fini del neoliberismo, ovvero il modello socio-economico più diffuso tra alcune delle maggiori democrazie occidentali, che avrebbe “una precisa politica di controllo sociale... l’esclusione…”. Infatti, gran parte degli individui che oggi compongono la società sono disoccupati, immigrati, senzatetto, disadattati sociali e psichici, e per essi l’unica prospettiva che ancora oggi si apre è quella della emarginazione, o peggio, una politica punitiva penale che ha nel carcere il modello dominante.
Tuttavia, ciò che più di ogni altro aspetto è risultato essere interessante in questo studio è stato essenzialmente quello di comprendere e spiegare come gli attuali modelli di società contemporanea, anche non neoliberali, danno vita in maniera quasi fisiologica a processi di esclusione, che non sono solo causa ma anche l’effetto forme di devianza anche per quella parte di popolazione che ricopre un ruolo attivo nella società, o per quella che vive in condizioni socioeconomiche migliori e quindi, quella che dispone di mezzi e possibilità maggiori di benessere. Pertanto, per poter comprendere a fondo i processi di esclusione, che assumono anche questa doppia veste di causa-effetto direttamente connessa alle molteplici forme di devianza, in tutti i tipi di società e tra tutte le componenti di un qualsiasi contesto sociale, ed eventualmente fornire una possibile chiave di lettura, si è ben compreso che non può esistere un'unica chiave di lettura valida per tutti i contesti storici e per tutti i contesti sociali; anzi, ciò che emerge con maggior certezza è proprio la carenza di nuovi e differenti approcci alla tematica della devianza, la mancanza di una cultura più interdisciplinare, la mancanza di una maggior capacità e profondità di analisi, la mancanza, in sostanza, di una nuova “visione della realtà”, dal momento che la devianza, così come tutte le tematiche sociali e non ad essa connesse (il potere, il ruolo dello Stato, le forme del controllo sociale, la criminalità, la normalità, la povertà, le nuove forme di disagio psico-sociale, la politica, l’economia e la medicina stessa), stanno acquisendo nuovi significati e nuove attualità, che abbisognano di nuove sensibilità.
Per esempio, tra i più emblematici mutamenti connessi con la tematica della devianza vi è quello che vede, tra i fattori che la determinano, l’aumento dei disturbi psichici. Questa tendenza sta portando a percepire il fenomeno della devianza non già come una causa dei processi di esclusione, ma bensì come un “male” o come una “malattia” e come tale passibile di terapia medica. Grave conseguenza di ciò, sta divenendo il fatto che a quel “processo di costruzione sociale della devianza” si sta sostituendo pian piano un “processo di costruzione sociale della malattia”. In questo processo, la centralità della “cura” sottrae l’individuo alla sua dimensione sociale e collettiva, spogliandolo, nella maggior parte dei casi, delle proprie peculiarità storiche, per farlo entrare in quelle, individualizzate e “destorificate”, di malato. Inoltre, per poterlo curare adeguatamente, occorre isolarlo e quindi lo stato di devianza, in quanto stato di malattia, gli fa chiudere al soggetto deviante (e quindi anche al malato) i rapporti con la società, con la natura e con il sistema sociale nei quali si originano, strappando la sua manifestazione comportamentale (oramai individuata come deviante) e il suo stato di malattia (diagnosticato come presente) a ogni loro radice e natura. Pertanto, se non si formano nuove sensibilità e non si approntano nuovi strumenti in grado di distinguere cos'è "devianza" e cos'è "malattia", potrebbe accadere che un problema che è per sua natura sociale, verrebbe scambiato come un problema medico e curato come tale. Accadrebbe così che, oltre a non risolvere il problema, ai già gravi processi di individualizzazione e di solitudine che colpiscono gli individui nelle società moderne per effetto di fenomeni come il consumismo, la persuasione dei mass media e la diffusione delle Information and Comunication Technology (il cui uso è strumentale anche per esercitare forme di controllo sociale sulle persone libere e sulle personalità molto articolate secondo status, ruoli, differenze specifiche, ecc…), si aggiungerebbe la necessità, quasi, di un ulteriore isolamento sociale per poter essere “adeguatamente trattati”, nel momento in cui ci si consegna, di fatto, nelle mani dello “specialista” (il medico), per essere guariti da questa "malattia sociale".
Di conseguenza, proprio per evitare distorsioni dele genere, rispetto ai temi della devianza, dei processi di esclusione e della malattia sociale, la Programmazione Sociale può e deve trovare i suoi fini, la sua ragion d’essere, il suo modo di operare, nonché il suo porsi come attività utile proprio nei contemporanei contesti sociali che sono abbastanza verosimili a quelli che si sono descritti. In altre parole, deve poter riuscire a trovare una risposta a quella domanda da cui siamo partiti, ovvero al “perché gli attuali modelli contemporanei di società, nonostante i progressi nell’ambito dello sviluppo socio-economico, nelle politiche di welfare, di assistenza, di prevenzione dei crimini e di recupero sociale, e nonostante i connessi strumenti che si hanno a disposizione, continuano a generare ancora rilevanti fenomeni di devianza”. Ed una volta che riesce a spiegare ciò attraverso l’interpretazione dei fenomeni e metodi sempre più interdisciplinari, credo che in un secondo momento potrà suggerire abbastanza agevolmente le opportune soluzioni a tutti i problemi che affliggono le società contemporanee, ivi compresi quelli della devianza, dei processi di esclusione e della malattia sociale.