giovedì 19 maggio 2011

Etica ed economia

In tutte le evoluzioni e le rivoluzioni che hanno accompagnato la storia dell'umanità, si può dire che il rapporto tra etica ed economia si è lungamente caratterizzato attraverso la seguente sequenza:

COMPORTAMENTI SOCIALI - COMPORTAMENTI ECONOMICI - CONDIVISIONE ETICA

Sinteticamente, questa sequenza può essere spiegata in questo modo: man mano che determinati comportamenti sociali si caricavano di una valenza monetaria e/o finanziaria, questi venivano condivisi anche come comportamenti economici e questi comportamenti economici, dopo un certo periodo di tempo, finivano per essere condivisi anche sul piano etico.

Ovviamente, nel condividere questa sequenza si condivide anche l'idea che l'etica ha dovuto giustificare determinati comportamenti economici solo in un secondo momento: in certi casi, addirittura, è stato necessario che passassero anche dei secoli prima che dei comportamenti economici venissero accettati anche sul piano etico. Però, a tal proposito, occorre anche dire che in certi casi, determinati comportamenti economici sono stati immediatamente condivisi sul piano etico e questo è il caso del saggio di Adam Smith “Indagine sulla ricchezza delle nazioni” del 1776.

Sotto questo aspetto, infatti, il saggio non rappresenta quello spartiacque col passato, così come al contrario viene considerato da molti: infatti, se è possibile concordare con quanti ritengono che il saggio di Smith è uno spartiacque dal punto di vista storico, culturale e filosofico, perché consacra la nascita della scienza dell'economia, sul piano dei rapporti tra etica ed economia le cose non cambiano in maniera radicale rispetto al passato.

Smith, infatti, sosteneva che l'uomo, nel tentativo soddisfare "egoisticamente" i propri bisogni, tende ad essere guidato da “una mano invisibile”, che pur all'interno di in un “libero mercato”, lo portano non solo al conseguimento del proprio “interesse individuale” ma anche al conseguimento dell'interesse dell'intera società, trasformando così quelli che sono i “vizi privati” in “pubbliche virtù”. Nel sostenere questo, dunque, Smith non faceva altro che indirizzare quegli egoismi di cui è purtroppo affetto l'uomo verso quella visione etica che era data dalla corrispondenza dell'interesse “individuale” con l'interesse “collettivo” ed inoltre, dalla possibilità che lo stesso individuo, nel momento stesso in cui acquistava e consumava i beni con cui soddisfare i propri bisogni, tendeva anche a massimizzare sia il proprio livello di felicità, sia quello collettivo.

Invece, la vera rottura del rapporto tra etica ed economia si è avuta solamente due secoli dopo Adam Smith, ovvero nella seconda metà del Novecento quando, con la deriva del “liberismo” che si tramuta in “neoliberismo”, si prende coscienza del fallimento cui hanno portato il "libero mercato" ed il suo "meccanismo autoregolativo", nonché del fallimento di tutti i tentativi di rimediare alle sue numerose distorsioni.

Fu dunque solo in questo momento storico che ci si è accorti che il “mercato ideale”, cioè quello teorizzato da Adam Smith, quasi mai corrisponde ai “mercati reali”, e pertanto nell'offrire all'individuo la migliore opportunità di trovare le cose che desidera, non sempre questo generava il lui il massimo livello di felicità, oppure quasi mai il libero mercato garantiva la migliore redistribuzione della ricchezza, la migliore allocazione delle risorse e la miglior garanzia del sistema delle libertà, o ancora, non sempre era possibile che il livello di felicità collettiva poteva derivare dalla sommatorie di tutte le felicità individuali.

A testimonianza dello scollamento che vi è stato tra etica ed economia nella seconda metà del Novecento, vengono in soccorso anche i diversi espedienti che i principali paesi mondiali hanno dovuto mettere in atto per rimediare alle distorsioni del "liberismo” ("l'intervento dello Stato nell'economia", "la nascita dei sistemi di welfare” e la nascita delle "Organizzazioni Internazionali, sia governative, che non governative").

Storicamente, però, occorre dire che questi espedienti non riuscirono a rinsaldare il rapporto tra etica ed economia ma, al contrario, lo scollamento divenne ancora più ampio verso la fine del Novecento. In conseguenza di fenomeni quali le crisi petrolifere degli anni '70, la fine della "guerra fredda" degli anni '80 e con l'espandersi della "globalizzazione" negli anni '90, la spinta degli egoismi riprese a crescere: in un primo momento, la risposta dei governi dei principali governi mondiali alle inefficienze del meccanismo del "libero mercato", fu quella di spingere sul liberismo, fatto che portò al "neoliberismo", scelta questa quantomai inefficace che portò anche ad ignorare quelle critiche che intato emergevano, tanto nei confronti del liberismo, quanto nei confronti del neoliberismo.

Cosicché, si dovette attendere il primo decennio del terzo millennio, quando apparve chiaro che sia sul piano economico, che sul piano teorico, il perseverare in una visione neoliberista del mercato, non poteva fare altro che aggiungere nuovi problemi a vecchi problemi. Contestualmente, inoltre, ci si accorse anche gli apporti dell'economia da soli non potevano essere più sufficineti per risolvere quei problemi vecchi e nuovi portati dal neoliberismo. E fu così, che l'atteggiamento di molti studiosi nei confronti dell'economia cambiò, e devo dire anche in maniera radicale rispetto al passato.

Infatti, alla consapevolezza della impossibilità di proseguire sulla strada del libero mercato, si affiancò quella riflessione molto profonda che ha portato di recente non solo a rivedere quei presupposti su cui per tanti anni si era fondata l'economia, ma anche a riconsiderare quei contributi di giuristi, politologi, sociologi, antropologi, biologi, psicologi, biologi, fisici, ecc..., i quali hanno potuto suggerire nuovi campi ricerca e nuovi strumenti di economica, quali la bioetica, l'etica ambientale, l'etica pubblica, la responsabilità sociale d'impresa, la cittadinanza attiva, lo sviluppo sostenibile e persino la socioeconomia, elementi che mettono alla base di tutto il rinsaldarsi dei rapporti tra etica e ed economia.

Pietro Perrucci