giovedì 11 dicembre 2008

CORSO-PROGETTO DI DIDATTICA E DI AUTODIDATTICA DEL CINEMA

CORSO DI DIDATTICA E DI AUTODIDATTICA DEL CINEMA

L’Idea-progetto
Si propone la realizzazione di un “Corso di didattica e di autodidattica del cinema”, autogestito dagli stessi corsisti e consistente in un percorso che esplori in tutti i suoi aspetti il mondo del cinema. Il metodo di apprendimento che si vuole utilizzare è quello di affiancare ad una normale parte didattica una parte di “autodidattica”, che consisterebbe nel ripartire tra i corsisti i temi contenuti della fase III e IV del corso, in modo che, ognuno di loro, a turno, dapprima acquisisce i contenuti delle lezioni e poi li divulga durante la lezione tenuta dallo stesso corsista di turno. Ovviamente, anche la scelta dei film inerenti i contenuti delle lezioni è affidata ad una decisione comune e condivisa dagli stessi corsisti.

Fasi della lezione:
1) acquisizione dei contenuti della lezione (solo per le lezioni autodidattiche);
2) illustrazione e dissertazione dei contenuti (max 60 minuti);
3) proiezione di un film inerente il tema oggetto della lezione;
4) trascrizione da parte del corsista di una sua breve considerazione (max 10 righe) sul contenuto della lezione e sulla visione del film;
5) digitazione, stampa e distribuzione, di tali considerazioni a tutti i corsisti;
6) dibattito (per le lezioni autodidattiche il corsista di turno farà anche da facilitatore/moderatore).

Scopo di ciascuna fase della lezione
a) “acquisire” e divulgare agli altri corsisti i contenuti delle lezioni (fasi 1 e 2),
b) esternare quegli elementi soggettivi di background culturale, di vissuto e di sensibilità (fase 3),
c) fare in modo che questi elementi soggettivi diventino parte di tutti i corsisti (fase 4),
d) confrontare ed eventualmente condividere quanto trascritto nelle considerazioni (fasi 5 e 6),
e) realizzare l’autoapprendimento durante tutte le fasi della lezione.


CORSO

I) Introduzione

Presentazione dei corsisti – Presentazione del corso – Assegnazione dei temi a ciascun corsista

II) Parte generale
Storia del cinema – Legislazione europea ed italiana – I principali festival ed eventi cinematografici italiani e stranieri.

III) Temi di Cinematografia
- I filoni culturali nel cinema (Avanguardie, Espressionismo, Surrealismo, Impressionismo, Moralismo Scandinavo, Studio System Hollywoodiano, Divismo, Realismo, Neorealismo, Nouvelle Vague, Dèco, Free English Cinema, New American Cinema, New Hollywood, New Indian Cinema, Post-modernismo)
- Il cinema per principali aree geografiche di produzione (francese, russo, tedesco, svedese, italiano, americano, inglese, giapponese, sud-americano, africano, mediorientale, indiano, cinese)
- I generi cinematografici (commedia, drammatico, storico, di guerra, colossal, western, horror, giallo, azione, musical, thriller, pulp, comico, documentario, documento, fiction, noir, grottesco, bollywood, erotico, porno, animazione, fantascienza, ecc…).

IV) Temi della trasposizione cinematografica
Letteratura – filosofia – sociologia – psicologia – psicoanalisi – antropologia – etnologia – estetica – linguaggio – metalinguaggio – semiologia – pedagogia – mitologia – storia – geografia – politica – economia – architettura – religione – comunicazione – m.c.m. – internet e informatica – medicina – scienze esatte.

V) Forme d’arte e di spettacolo nel cinema
Teatro – musica – danza – cabaret – avanspettacolo – prosa – disegno – pittura – scultura – grafica – videoarte – fumettistica – animazione – sport – varietà – televisione – folklore – circo – cantastorie e altri spettacoli di strada – eventi e manifestazioni.

VI) Metodi e tecniche di riproduzione cinematografica
Tipologie di audiovisivi – tecniche video e di ripresa – tecniche audio e foniche – scrittura – sceneggiatura – regia – scenografia – fotografia – illuminotecnica – montaggio – doppiaggio –produzione – post-produzione – distribuzione – progettazione nel settore degli audiovisivi – i finanziamenti

VII) Recitazione
Metodi e tecniche di recitazione – Il rapporto tra attore e personaggio – la maschera – la voce – la dizione – il costume – la luce – la gestualità – il simbolismo – l’ispirazione – la creatività – l’esercizio

VIII) Progetto (per la verifica di tutte le competenze acquisite)
Ideazione e realizzazione di un progetto di audiovisivo.

Ancora da definire:
Gruppo di lavoro, Organizzazione, Partnership, Logistica, Orari, Coordinamento, Costi, Finanziamento, Tutoraggio, Supporti tecnici, Docenze (fase II, VI, VII e VIII)

mercoledì 19 novembre 2008

PERCORSO PER UN PROGRAMMA DELLA POLITICA

L’eredità del passato

Dopo aver parlato della differenza tra piano e programma, provo a parlare anche della politica, ovvero dello strumento più importante attraverso cui si attuano i processi di policy. Il punto di partenza è sempre la fallimentare esperienza del Piano Strategico della “Città Murgiana della Qualità e del Benessere”, dalla quale si è ampiamente evinto come la politica, invece di intercettare i bisogni della collettività, si è occupata solamente di questioni legate al potere, ai personalismi, agli interessi di pochi, finendo per disinteressarsi dei problemi reali della società e generando per questo un malcostume che è diventato l'elemento di maggior distinguo del nostro contesto locale.
Questa condizione di degrado in cui perversa la politica, non è né recente, né si può dire che appartiene al solo contesto locale; tuttavia, tutti concordano sul fatto che nel nostro contesto locale sono sempre gli stessi problemi ad affliggere la nostra comunità da almeno vent’anni a questa parte, con la differenza, rispetto al contesto nazionale, che quei problemi hanno assunto nel nostro contesto locale una gravità tale per cui si è notevolmente ridotto spazio operativo della politica. Per questo motivo, dunque, la politica non può più essere l’unico strumento per risolvere i gravi problemi esistenti e quindi, così come sta accadendo in tutte le maggiori democrazie del mondo, anche per il nostro contesto locale si ravvisa la necessità di mettere in atto un processo culturale forte e parallelo a quello della politica, qual è quello della “democrazia partecipativa”, che attraverso la “partecipazione diretta” e “l’impegno responsabile di tutti”, è in grado di:
1) rompere storicamente e culturalmente con quel passato della politica, fatto di malcostume, egoismi per il potere, personalismi e di difesa degli interessi di pochi;
2) elevare ad obiettivi dell’impegno politico i problemi reali della nostra comunità;
3) creare un nuovo e più ampio consenso, fatto di visioni e missioni, comuni e condivise;
4) realizzare quel processo di emancipazione sociale, economica e culturale, di cui si avverte un forte bisogno.
In funzione di questa considerazione e soprattutto in funzione delle prossime elezioni amministrative, si avverte la necessità di articolare un nuovo percorso di scelte, fatto di tre momenti fondamentali:
1) un momento di coesione, in cui definire Visioni, Missioni, Strumenti, Strategie, Metodo e Valori condivisi;
2) un momento di riflessione, su Problemi e Bisogni, Individuazione delle Risorse, e Comunicazione;
3) un momento programmatico, fatto di diverse fasi di Analisi, Scelta, Valutazione, Risorse, Contenuti e Operatività.

1. Coesione

Vision: La comunità economicamente, socialmente e culturalmente emancipata
Missione: aggregare il consenso intorno a idee, sentimenti, significati, percezioni, ecc…
Strumenti: la partecipazione
Strategie: diffondere la cultura della partecipazione e rompere storicamente e culturalmente con il passato.
Metodo: confronto continuo e responsabile per elevare ad obiettivi dell’azione e dell’agire politico i problemi reali della comunità.
Valori condivisi
1) QUESTIONE MORALE
2) QUESTIONE AMBIENTALE
3) PARI OPPORTUNITÁ
4) LIBERTÁ
5) EQUITÁ
6) SOLIDARIETÁ
7) SOSTENIBILITÁ
8) EMANCIPAZIONE
9) INCLUSIONE
10) PARTECIPAZIONE


2. Riflessione

Problemi, bisogni, questioni
A) SVILUPPO
B) OCCUPAZIONE
C) QUALITÁ DELLA VITA
D) DEFICIT DI DEMOCRAZIA
E) PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
F) WELFARE
G) DIRITTI
H) TERRITORIO
I) EUROPA
L) …….......

Risorse
- Capitale tangibile (mezzi finanziari)
- Capitale intangibile (cultura, conoscenza, competenza)
- Capitale umano (animatori, attori, portatori di interessi, soggetti deboli, ecc…)
- Processi partecipativi (governance, partnership, networking).

Comunicazione
Realizzare un unico piano di comunicazione informatizzato, affinché l’informazione sia accessibile, immediata, comprensibile, aggiornata, responsabile, consapevole.


3. Programma

Analisi
Problemi e bisogni
Strutturazione/Obiettivi
Soluzioni potenziali
Stima degli effetti

Scelte
Adozione
Scelta
Indicazioni
Implementazione

Valutazione
Indicatori
Monitoraggio
Giudizio
Adattamento

Risorse
Tangibili
Intangibili
Umane
Processi partecipativi

Valori
Questione morale
Ambiente
Pari opportunità
Libertà
Equità
Solidarietà
Sostenibilità
Emancipazione
Inclusione
Partecipazione
…………
…………

Operatività
Rimodulazione obiettivi
Azioni
Consenso

martedì 30 settembre 2008

La Pianificazione Strategica tra fallimenti, complicità, disonestà intellettuale e ballerine di lap-dance.

Il 19 settembre scorso, si sarebbe dovuto svolgere un importante incontro tra il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (C.N.E.L.) e gli operatori del Piano Strategico dell’Area Vasta la Città Murgiana della qualità e del Benessere. Invece, al termine di questo incontro, nessuno ha parlato a nome del C.N.E.L., e quindi non si è capito, né “chi” era venuto a rappresentare il C.N.E.L., né “cosa” abbia mosso questa importante istituzione nazionale ad interessarsi del nostro piccolo piano strategico.
Comunque, questa presenza/assenza del C.N.E.L. non ha sorpreso più di tanto, perchè è stata perfettamente in linea con le modalità con cui si è svolto tutto il processo di pianificazione strategica, cioè fomentare le aspettative, le speranze e le attese, per poi disattenderle mediante la sottrazione di componenti fondamentali di questo processo (si veda, a tal proposito, la mancanza di organizzazione, di partecipazione, di programmazione, di informazione, di comunicazione, di conoscenza e di discussione dei principali problemi che affliggono il nostro territorio).
Sicché, in fase di chiusura del processo di pianificazione strategica, la prima conclusione che si può trarre è data dal fatto che, a causa di queste deficienze, il nostro piano strategico si avvia ad essere un fallimento. D’altronde, la storia del nostro territorio é stata sempre una storia di fallimenti di tutti i tentativi di sviluppo messi in atto fino ad ora: si pensi, per esempio, al disuso dei marchi territoriali della Murgia, ai G.A.L. non finanziati, o peggio ancora, al nostro Patto Territoriale considerato da una ricerca del M.I.U.R. tra i patti peggio avviati in Italia. Quindi, ancora una volta saremo costretti a parlare di fallimento ed ancora una volta saremo costretti a parlare di un fallimento a causa delle complicità con della politica.
Il nostro piano strategico, quindi, anziché essere una concreta opportunità per risolvere i veri problemi che affliggono il nostro territorio, è stato strumentalmente gestito in funzione delle esigenze di pochi, di chi conta, del “potere”, e quindi attraverso il ricorso la politica che è intervenuta in questo processo per svuotarlo di quelle importanti componenti della partnership, del networking e della governance (nel senso più ampio del termine) per renderlo più facilmente controllabile ed infine, per farlo fallire come strumento di sviluppo dal basso.
La prova più chiara di questa complicità la si è avuta quando, caduto il sindaco del nostro comune capofila, si sono dovute fermare tutte le attività connesse con la pianificazione strategica. Pertanto, la sola differenza che c’è stata rispetto alle altre esperienze pregresse di sviluppo che si sono citate, sta nel fatto che mentre in queste ultime si poteva parlare di una presenza più soft della politica, anche se vi era comunque una consapevolezza del fatto che, prima o poi, la politica avrebbe sottratto agli stakeholder la piena gestione degli strumenti di sviluppo, per il piano strategico, invece, l’invasione della politica si è realizzata da subito ed in maniera assai più evidente e cioè attraverso il comitato tecnico e soprattutto attraverso le complicità del comitato scientifico.
Il comitato tecnico è stato da subito reso incapace di determinare qualsiasi tipo di scelta e perciò incapace di effettuare qualsiasi tipo di attività; di conseguenza, il comitato scientifico ha dovuto accentrare praticamente tutte le attività assegnate della pianificazione strategica. Ora, se un comitato scientifico si sostituisce al comitato tecnico viene facile pensare che, in ragione della sua scientificità, la riuscita del processo di pianificazione strategica sarebbe dovuta avvenire quasi per definizione; ma purtroppo, così non è stato ed il perché di questo sta nel fatto che il comitato scientifico ha agevolato la politica nel suo intento di non realizzare la pianificazione strategica e, a sua volta, la politica stessa si è resa disponibile ad aiutare il comitato scientifico, sia per far rimanere in piedi un processo di pianificazione strategica affetto da macroscopiche inefficienze di metodo, di partecipazione, di trasparenza, di sviluppo sostenibile, di competenze e di rispetto delle Linee Guida regionali, sia per prestargli soccorso con la demagogia nel spiegare il perché di queste molteplici inefficienze.
Ed infatti, proprio nell’incontro del 19 settembre, il comitato scientifico ha fatto passare per scelta consapevole e funzionale all’attività di pianificazione strategica l’impossibilità e l’incapacità di elaborare il Piano Strategico entro il 30 settembre e di fronte a questo volgare atto di disonestà intellettuale, nessuno ha parlato di gravi responsabilità comitato scientifico, che non sono solo quelle riferite al fatto che questi non si è mai sforzato di conoscere la realtà socioeconomica, che non è mai stato assiduamente presente sul territorio e che non ha mai dimostrato di avere competenze in programmazione dello sviluppo economico; ma si tratta di responsabilità riferite alla sue complicità con la politica, e cioè
- per il loro atteggiamento nell’essere stati ciechi, muti e sordi, alle osservazioni che puntualmente venivano denunciate sul piano strategico;
- per la rinuncia a confrontarsi nelle pubbliche sedute;
- per la mancata accettazione della mia disponibilità a lavorare a tempo pieno e soprattutto a titolo gratuito;
- per l’aumento del numero dei membri del comitato scientifico che da tre è passato a cinque, facendo spendere ulteriori 24.750,00 euro;
- per l’assunzione di consulenti scientifici che non conoscono neanche quali sono le Iniziative Comunitarie in atto, dato che Justine, Jasmine e Gender, possono essere solo i nomi di ballerine di lap-dance, mentre i nomi autentici delle Iniziative Comunitarie sono Jessica, Jaspers e Jeremie (a tal proposito faccio notare che il consulente che ha scritto questa cavolata percepirà un compenso di 11.250,00 euro, in ragione di un periodo di consulenza che va dal 15 luglio, al 30 settembre 2008).
Ecco perché non mi resta che sperare anche in un commissariamento della pianificazione strategica.

Pietro Perrucci

lunedì 18 agosto 2008

1) Diffferenze tra Piano e Programma

Carissimi colleghi ed amici, nel ringraziarvi tutti per le splendide serate passate insieme e per l'opportunità che mi avete dato per spiegare la mia opinione in merito alle differenze che sussistono tra "Piano" e "Programma", vorrei sintetizzare quanto da me esposto. Grazie e buona lettura.
Come ho già avuto modo di evidenziare anche in altre sedi, negli ultimi venti anni il confine tra piano e programma è diventato sempre più sottile; ciononostante, però, sul piano metodologico alcune differenze continuano a persistere e questo malgrado la scarsa importanza data dai pianificatori e programmatori (soprattutto italiani) alle questioni inerenti il metodo.
Infatti, in qualsiasi contesto si prenda a riferimento, resta ben chiaro a tutti che piano e programma sono frutto di due processi differenti, processo di pianificazione il primo e processo di programmazione il secondo; questo aspetto, dunque, implica diverse cose, prima tra tutte il fatto che quando si parla di pianificazione il riferimento vien fatto principalmente per i vari settori del territorio (paesaggio, ambiente, ecosistema, ambiente, ecc...), invece quando si parla di programmazione il riferimento vien fatto principalmente ad ambiti connessi con l'economia, la società, il mondo dell'impresa e la Pubblica Amministrazione.
In secondo luogo, si deve tener presente che mentre il piano ha obiettivi di tipo operativo, il programma è sempre diretto al conseguimento di obiettivi portata assai più generale e quindi meno operativi rispetto a quelli del piano. Questo aspetto, quindi, implica essenzialmente due cose: per il piano, la possibilità che i suoi obiettivi sono tutti più strettamente connessi tra loro; per il programma, la necessità di prevedere almeno un obiettivo di tipo generale, cui si possono connettere anche obiettivi di tipo operativo.
Altra differenza sostanziale tra piano e programma è data dal fatto che mentre un piano può far parte di un programma, non sempre un programma può far parte di un piano; questa possibilità, infatti, si può presentare solo per quei piani di portata molto vasta per dimensione spaziale e per dimensione temporale, anche se questa possibilità è sempre meno frequente.
Altra differenza che resta molto rilevante sul piano delle differenze tra piano e programma è data dalla maggior vicinanza del piano verso l'attività di progettazione, a causa della maggior operatività dei suoi obiettivi, anche se nei casi in cui un piano sia connesso ad un programma, la progettazione finisce per avere come riferimento teorico-concettuale non più la pianificazione ma la programmazione.
Ancora, debbo evidenziare che ulteriori differenze tra piano e programma sono quelle relative alle metodologie, alle tecniche ed agli strumenti, di valutazione, monitoraggio, rendicontazione e comunicazione, che per la loro vastità e complessità meriterebbero una trattazione a parte.
Concludo, facendo cenno alla pianificazione strategica che è il processo - o se si preferisce, il tipo di pianificazione - che più di ogni altro riduce anche sul piano metodologico le differenze tra piano e programma; qui, infatti, gli obiettivi operativi della pianificazione coesistono e sono strettamente connessi con quelli di portata generale, che sono propri della programmazione. Ovviamente, per quanto appena detto sui piani strategici, si sconsiglia di non far riferimento alla fallimentare esperienza del Piano Strategico di Area Vasta: "La Città Murgiana della Qualità e del Benessere" che, in quanto fallimentare, non ha potuto far testo in questo mio scritto.

Pietro Perrucci

domenica 27 luglio 2008

Benchmarking

Ai colleghi che operano nel settore del marketing commerciale, vorrei sottolineare che il benchmarking, prim’ancora di essere una tecnica per migliorare la comunicazione sui prodotti commerciali, è una tecnica, uno strumento di valutazione. Per fare chiarezza a tal proposito, provo ad elaborare una sintesi, spero sufficientemente compendiosa per le vostre esigenze, di quello che è il significato originario di benchmarking. Buona Lettura.

Il benchmarking potrebbe essere definita come una tecnica o uno strumento di valutazione consistente in “un’analisi comparativa delle prestazioni”.

Adottato dapprima nel settore privato ovvero da imprese che operavano in un ambiente industriale per migliorare la competizione, è divenuto oggi uno strumento molto usato per valutare le conseguenze delle politiche nel settore pubblico. Infatti, nella valutazione il benchmarking è compreso tra gli strumenti utili ad informare e/o produrre giudizi valutativi nelle valutazioni in itinere e per ottenere dei dati nelle valutazioni ex-post.

Il confronto su cui di basa questa tecnica viene effettuato mediante un accostamento di informazioni standardizzate in indicatori, relativi a piani, progetti, politicch, programmi, interventi, settori economici, settori industriali, prestazioni, processi, prodotti, ecc…). Molto spesso il confronto avviene tra esperienze che vengono definite come “esperienze di buona (o migliore) pratica”, per estrapolare le cosiddette “esperienze esemplari”. Ciò è quanto accade nell’ambito della “partecipazione dei cittadini ai vari processi decisionali" nelle società democratiche, dove il benchmarking viene considerato come quell’insieme di esperienze esemplari, risultanti dal confronto tra le “best practices”, raccolte in sede di valutazione dei processi democratici nelle società contemporanee.

La diffusione di questo metodo, di questa tecnica di valutazione, ha finito per produrre un ulteriore significato per il termine di benchmarking: infatti, nell’ambito delle politiche territoriali, per esso spesso si intende il migliore degli standard quantitativo o qualitativo possibile, cui riferirsi o con cui confrontarsi.

Oggi, a livello di Unione Europea il benchmarking è una tecnica abbastanza comune per confrontare l’esito delle proprie politiche con quelle del Giappone e degli U.S.A. e poter così dimostrare quali condizioni debbono essere preventivamente ricercate per elaborare interventi tali che consentano di generare determinati effetti. Qui, il benchmarking è stato largamente utilizzato nella verifica dei cambiamenti nelle politiche di sviluppo socioeconomico, nelle politiche attive del lavoro (espressamente quelle che rilevavano l’importanza delle esportazioni nelle economie regionali ai fini dell’incremento occupazionale), nel realizzare la cosiddetta “Società dell’Informazione” (dove il benchmarking è uno strumento chiave non solo per valutare i cambiamenti ma anche per far emergere quei paesi che in questo settore sono ancora indietro), nelle pari opportunità, nel sostegno alla crescita della capacità istituzionale e nel monitorare gli eventuali cambiamenti nell’ambito degli obiettivi del “Protocollo di Kyoto” (inquinamento, clima, energia e sviluppo sostenibile).

Il massiccio utilizzo di questo strumento, ha spinto la stessa Unione Europea a predisporre un programma per diffondere l’utilizzo del benchmarking all’interno delle aziende private, col fine di migliorare le loro performance organizzative, di fatturato e di reddito. In funzione di ciò, molti hanno utilizzato il benchmarking nel mondo dell'impresa mentre si occupano di organizzazione, per valutare le performance soprattutto dei concorrenti e degli eventuali partner e per accrescere le opportunità di “business”.

Infine, alcuni governi europei, quale per esempio l’Olanda, hanno utilizzato il benchmarking anche come strumento per paragonare i costi dei diversi organismi della “pubblica amministrazione” rispetto al livello di qualità dei servizi offerti.

Pietro Perrucci

lunedì 30 giugno 2008

Modello di Sviluppo Socioeconomico Locale

Colleghi carissimi,
eccovi riportato quello che a mio modo di vedere dovrebbe essere l’articolazione di un moderno modello di sviluppo socioeconomico locale. Come potrete facilmente notare, la mia articolazione è più elaborata della vostra, nel senso che ho variato alcuni degli elementi che mi avete proposto: infatti, invece di “caratteristiche” ho preferito parlare di “aspetti peculiari” e invece che di semplici “obiettivi” ho preferito associare una “sfida” possibile per ognuno degli “obiettivi” proposti. Inoltre, ho aggiunto anche degli altri elementi dai quali, secondo me, non si può prescindere per un moderno ed efficace modello di sviluppo locale; tali elementi sono: i “principi” ai quali deve ispirarsi un modello di sviluppo locale; i “settori strategici”; le possibili “attività” che debbono essere svolte; le “strategie operative” che sono strettamente connesse ai “principi” che ho individuato. Chiedendovi scusa per la eccessiva schematizzazione ed esemplificazione, resto comunque a vostra disposizione per ulteriori chiarimenti e/o approfondimenti che si dovrebbero rendere necessari, bibliografia di riferimento compresa. Pietro.

PRINCIPI
- Partecipazione
- Coesione
- Approccio sistemico
- Contestualizzazione Spazio/Tempo

ASPETTI PECULIARI
- Endogeno
- Strategico
- Integrato
- Condiviso
- Inclusivo
- Sostenibilità
- Autosostenibilità
- Ecocompatibilità
- Programmazione

SFIDE/OBIETTIVI
- Crescita e Sviluppo
- Qualità e Benessere
- Incubazione d’Impresa e Occupazione
- Mobilità e Sistemi
- Innovazione e Competitività
- Inclusione e Welfare
- Efficienza e Efficacia
- Ambiente e Sostenibilità

SETTORI STRATEGICI
- Ricerca e Sviluppo
- Innovazione
- Risorse Umane e Formazione
- Strutture e Infrastrutture
- Cooperazione
- Energia

STRUMENTO
Agenzia di Sviluppo Locale

ATTIVITÁ
- Centro Studi e Ricerche
- Competenze interdisciplinari
- Policy Making e Policy Analysis
- Marketing Territoriale
- Processi di Governance, Partnership e Networking
- Programmazione, Pianificazione, Progettazione, Valutazione, Monitoraggio e Rendicontazione
- Business Innovation Center
- Formazione, Cultura Innovativa, Know-how
- Europrogettazione
- Fund Rising
- Project Financing
- Best practice
- Benchmarking
- Informazione e comunicazione

STRATEGIE OPERATIVE
- Ricostruzione delle identità e delle componenti del territorio
- Definizione dei bisogni presenti e anticipazione dei bisogni futuri
- Approcci cooperativi
- Cooperazione interterritoriale
- Capacità istituzionale e cooperazione interistituzionale
- Messa a sistema di risorse, energie, valori, potenzialità
- Azione e politiche di comunità
- Portare la dimensione locale su quella globale
- Internazionalizzazione

sabato 14 giugno 2008

7° Contributo al Piano Strategico di Area Vasta: “La Città Murgiana della Qualità del Benessere”

7° Contributo al Piano Strategico di Area Vasta: “La Città Murgiana della Qualità del Benessere”

La partecipazione bloccata

Nell’incontro del partenariato economico sociale dello scorso 12 giugno nell’ambito del Piano Strategico di Area Vasta “La città murgiana della qualità e del benessere” è stata appurata l’esistenza di una precisa volontà di non attivare gli strumenti della partecipazione, cioè quegli strumenti che, ripeto ancora una volta, debbono essere propri di questo processo di policy.

Sincerità per sincerità, sin dal primo incontro si era percepita la sensazione di essere in presenza di tentativi (a dire il vero neanche troppo velati) di fare “resistenza contro la partecipazione”, tant’è vero che tutti gli incontri del partenariato svoltisi finora, si sono contraddistinti sempre per un basso profilo e per una scarsa enfasi data a questo aspetto. Ma per tutto questo tempo, forse troppo tempo, non ho mai voluto credere ad una cosa del genere… fino a quando, però, in quest’ultimo incontro, il dito dietro il quale ci si nascondeva (ovvero, le giustificazioni ed i rinvii del responsabile unico del procedimento e del comitato scientifico, inerenti proprio la mancata attivazione di questi strumenti) è diventato così piccolo, che non poteva più coprire questo fatto gravissimo che pregiudica la trasparenza e la tracciabilità di tutto il processo di pianificazione strategica.

La partecipazione è bloccata perché,

- dopo sei mesi di attività e dopo otto incontri di partenariato, l’attività di pianificazione strategica è praticamente ferma al punto di partenza…, ad ogni incontro il responsabile unico del procedimento e il comitato scientifico ripropongono, di fatto, le stesse relazioni e gli stessi quadri di attività;
- del tutto ignorato è stato lo sviluppo di quelle tematiche inerenti lo “sviluppo condiviso” e la “inclusività”, nel senso che non si è mai fatto riferimento alla partecipazione intesa come possibilità che i cittadini partecipino attivamente e direttamente alle attività di concertazione e di negoziazione;
- non si sono mai voluti definire e contestualizzare i concetti di “governance”, “partnership”, di “networking”, “sostenibilità” ed “autosostenibilità”;
- non è mai stato elaborato un piano delle attività di pianificazione adeguato alle peculiarità del territorio e, di conseguenza, non è mai stato strutturato metodologicamente il processo di pianificazione strategica (AGENDA, STRUTTURAZIONE DEI PROBLEMI, FORMULAZIONE, PREVISIONE, ADOZIONE, RACCOMANDAZIONE, IMPLEMENTAZIONE, MONITORAGGIO, GIUDIZIO, VALUTAZIONE, ADATTAMENTO E ADEGUAMENTO);
- non si ha conoscenza di come vengano gestite ed attuate praticamente le fasi più importanti della pianificazione e della valutazione (ambientale) strategica CALENDARIO/DIARIO DELLE ATTIVITÁ, LA MAPPA DEGLI ATTORI E DEGLI STAKEHOLDER, IL CATALOGO E LE TIPOLOGIE DI DATI, IL SISTEMA INFORMATICO, LE AZIONI E LE ALTERNATIVE, LE CATENE CAUSA-EFFETTO, LE MODALITÁ DI ANALISI, LA VALUTAZIONE DI RISULTATI E DI SCELTE ALTERNATIVE, LA GESTIONE DEI CONFLITTI, DELLA NEGOZIAZIONE E DELLA CONCERTAZIONE);
- non si è mai voluto “istituzionalizzare” il confronto tra istituzioni, politica, società e mondo economico;
- non si è mai capita la metodologia di lavoro e, di conseguenza, non si è mai potuto capire a quale rigore metodologico ci si debba attenere;
- non sono stati ancora predisposti i tavoli tematici;
- mancano i piani della comunicazione interna ed esterna, sebbene questi siano stati più volte richiesti espressamente dal sottoscritto;
- non si conoscono i risultati delle analisi di contesto, né tanto meno la loro articolazione per ambito istituzionale, sociale ed economico, per tematiche della programmazione dei fondi strutturali e per indicazioni delle linee guida regionale delle 9 aree vaste pugliesi;
- a sei mesi dall’avvio del processo, non si è ancora tenuto un incontro espressamente diretto alla esplicitazione dei bisogni, delle esigenze, delle aspirazioni, delle tematiche, delle questioni e delle problematiche delle nostre comunità;
- non si è mai voluto rimediare alla carenza di specifiche figure professionali nel comitato tecnico e scientifico, quali facilitatori, animatori, esperti di processi di policy, sociologi, esperti di marketing territoriale, analisti statistico-economici, esperti di programmazione dello sviluppo socioeconomico locale, esperti di ecologia, di ambiente, di sostenibilità e conoscitori della realtà socioeconomica dei comuni dell’area vasta;
- ci si rifiuta palesemente di finalizzare la progettazione e la pianificazione verso obiettivi concreti di sviluppo socioeconomico e per questo ci si rifiuta di far riferimento alla “programmazione”;
- volutamente, si ignorano i reali problemi della nostra area vasta, che saranno pure quelli della qualità, del benessere dell’efficienza della competitività e dell’identità territoriale, ma che le nostre collettività percepiscono come: a) storica carenza di risorse e di materie prime del territorio murgiano; b) forte aumento dei bisogni delle collettività e conseguente aumento dello sfruttamento delle poche risorse qui esistenti; c) forti pressioni ed ampio degrado del patrimonio ambientale, paesaggistico, architettonico e storico, al punto da essere fortemente compromesso nelle sue possibilità di recupero, sempre a causa di questo forte sfruttamento; d) alto tasso di mortalità per cancro e tumori; e) elevata disoccupazione; f) forte tasso di emigrazione di forza lavoro giovanile ed altamente istruita; g) strutture di offerte di servizi alle famiglie ed alle imprese, insufficienti e di basso profilo; h) insufficiente dotazione strutturale ed infrastrutturale; i)…;
- non si conoscono ad oggi quali strategie intendono adottare i comuni della nostra area vasta per mettere a sistema le loro risorse e strutture e soprattutto, per cooperare sul piano interistituzionale con gli alti altri enti del nostro territorio, siano essi locali o nazionali;
- mancata attuazione di un “logfame di tipo strategico”, come quello che sinteticamente avevo proposto: 1) PARTECIPAZIONE E PARTNERSHIP ISTITUZIONALE, ECONOMICA E SOCIALE; 2) ESPLICITAZIONE DI PROBLEMI, BISOGNI, ESIGENZE, QUESTIONI, TEMATICHE; 3) INDIVIDUAZIONE DI OBIETTIVI GENERALI; 4) DEFINIZIONE DELLE AZIONI E DEGLI INTERVENTI IN FUNZIONE DEGLI OBIETTIVI; 5) PREDISPOSIZIONE DI INDICATORI PER IL MONITORAGGIO; 6) INDIVIDUAZIONE DEGLI OBIETTIVI OPERATIVI; 7) ESECUZIONE DELLE EVENTUALI VALUTAZIONI, REVISIONI ED ADATTAMENTI; 8) ARTICOLAZIONE DEI RISULTATI;
- i concetti di “qualità” e di “benessere” a cui si vuole ispirare la realizzazione della “Città Murgiana”, sono stati idealmente molto decantati, ma praticamente non ancora definiti e perciò si ignorano al momento tutti gli altri aspetti, sfide, obiettivi, strumenti, strategie e principi, connessi a questi due obiettivi.

Di fronte a tutti questi motivi che bloccano la partecipazione è naturale porsi alcune domande: chi ha interesse a bloccare la partecipazione? per quale motivo si vuole bloccare la partecipazione? esiste per caso un disegno oscuro prestabilito dalla “politica” e che per essere attuato si dovrà fare in modo che la partecipazione influisca negativamente sulla sua realizzazione? ed infine, perché chi è titolato a parlare di queste cose non vuole parlare?

Potendo individuare una precisa responsabilità di ciò, tanto nei confronti del responsabile unico del procedimento, ovvero colui che gestisce questo processo, quanto nei confronti di un comitato scientifico che è di fatto cieco, sordo e muto, verso tutte le proposte per favorire il più ampiamente possibile la partecipazione dei cittadini alla pianificazione strategica, io auspico quanto prima che si dimettano, anche perché credo che ci sia sicuramente un modo più proficuo di utilizzare i loro lauti compensi "per fare la pianificazione strategica" e non per “non fare la pianificazione strategica”.

Pietro Perrucci

mercoledì 4 giugno 2008

6° Contributo al Piano Strategico di Area vasta: “La Città Murgiana della Qualità del Benessere”

6° Contributo. Lo "sviluppo inclusivo" come metodo della Pianificazione Strategica

Nell’ambito dell’economia, della sociologia e della politica, il passaggio da approcci di tipo “top-down”, ad approcci “bottom-up”, è storicamente riconducibile a tre fatti: alle riforme della Pubblica Amministrazione, alle innovazioni introdotte delle politiche dell’Unione Europea e a un nuovo modo di concepire le politiche di sviluppo, attraverso gli strumenti della “programmazione negoziata”, o “programmazione concertata”. Si è così determinato,
- in economia, il ricorso a forme di sviluppo pensato, progettato, costruito, condiviso e l’utilizzo di quei strumenti di programmazione negoziata e concertata;
- in sociologia, l’uso di modelli inclusivi e strumenti di networking e di partnership;
- in politica, il passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia partecipativa.
Per questo nuovo modo di concepire le politiche di sviluppo, vi sono stati anche importanti riflessi sulle politiche del territorio che hanno portato a parlare sempre di più di ambiente, di sostenibilità e di autosostenibilità. Ora, tutto questo insieme di “innovazioni” viene oggi considerato il substrato culturale sul quale poggia lo “sviluppo inclusivo”, il quale costituisce al tempo stesso un importante spartiacque con il passato, che ha visto incrementare il ricorso a quegli approcci partecipativi, tanto sul piano economico, quanto su quello della sociologia, della politica e quindi anche nella pianificazione territoriale. E credo che sia proprio in questo spartiacque culturale che va ricercato il senso ed il metodo della nostra pianificazione strategica.


Lo "sviluppo inclusivo" non può certo dirsi un argomento nuovo: infatti, circa venti anni fa incominciarono le riforme della pubblica amministrazione (Legge n.142/90); circa venti anni fa incominciò la programmazione operativa dei fondi strutturali europei e degli altri fondi comunitari (Piani Operativi Plurifondo) ispirata non più alla "integrazione" ma alla "coesione socioeconomica"; e circa quindici anni fa furono concepiti i primi strumenti di programmazione negoziata (Intese Istituzionali, Accordi di Programma Quadro, Patti territoriali, Contratti d’Area, Agenzie di Sviluppo, ecc…).

Si comprende bene perché ad oggi, l’evoluzione determinata dalla elaborazione e dall’attuazione di piani, politiche, programmi e progetti, abbia fatto propri i nuovi elementi hanno sostanziato il concetto di “sviluppo inclusivo” (“governance”, “networking”, "partnership", “sostenibilità” e “autosostenibilità) e che hanno come comun denominatore la “partecipazione".

E sempre per il fatto che lo sviluppo inclusivo non è un fatto nuovo, il continuo rifuggire e il continuo ignorare volutamente tutto questo quadro culturale, porta a pensare che le attività connesse alla realizzazione del Piano Strategico di Area Vasta “La Città Murgiana della Qualità e del Benessere” rischiano di approdare ad un nulla di fatto e molti incominciano a chiedersi perché in questa pianificazione strategica non non si parla di sviluppo pensato, progettato, costruito, condiviso ed inclusivo? Perché non c’è ancora traccia della governance, della partnership, della democrazia partecipativa, del modello reticolare, dell’autosostenibilità (anche se mi accontenterei della sola “sostenibilità”) e soprattutto della partecipazione? Perché non vengono ancora resi noti i riferimenti allo studio, alla ricerca, all’elaborazione, al metodo, alla vision ed alla mission strategica, alla programmazione, ai piani di comunicazione ed alla più volte richiamata scientificità? Insomma, perché ancora oggi non si intravede per questo piano strategico il suo processo di policy?

Sforzandomi ancora una volta di non credere ad un suo fallimento (e quindi a dover poi pensare anche alle sue possibili conseguenze), attraverso questo contributo vorrrei che si spingessero le attività di questo processo nell’alveo che è proprio della pianificazione strategica. Per questo suggerisco un “logfame” di attività, che potrebbe essere così sintetizzato:

1) PARTECIPAZIONE E PARTNERSHIP ISTITUZIONALE, ECONOMICA E SOCIALE;
2) ESPLICITAZIONE DI PROBLEMI, BISOGNI, ESIGENZE, QUESTIONI, TEMATICHE;
3) INDIVIDUAZIONE DI OBIETTIVI GENERALI;
4) DEFINIZIONE DELLE AZIONI E DEGLI INTERVENTI IN FUNZIONE DEGLI OBIETTIVI; 5) PREDISPOSIZIONE DI INDICATORI PER IL MONITORAGGIO;
6) INDIVIDUAZIONE DEGLI OBIETTIVI OPERATIVI;
7) ESECUZIONE DELLE EVENTUALI VALUTAZIONI, REVISIONI ED ADATTAMENTI;
8) ARTICOLAZIONE DEI RISULTATI.

Oltre a questo, mi sia consentito di sottolineare anche il fatto che le analisi di contesto non debbono essere soltanto delle bellissime foto e delle elaborazioni cartografiche del nostro paesaggio, del nostro patrimonio ambientale, storico, culturale, ecc..., e non sono neanche delle sintesi parziali di quella che sarebbe la realtà delle nostre comunità. L’analisi di contesto dev’essere, semmai, una modalità per acquisire tutte quelle informazioni necessarie ad individuare i punti di forza e di debolezza, ma soprattutto ad individuare le opportunità e le minacce, ovvero quegli aspetti che ci consentono di ragionare con una logica evolutiva dei processi in atto e che quindi ci consentono di fare delle previsioni, che non sono solo della pianificazione, ma che sono anche della programmazione e della dinamica dei nostri contesti.

Con questo voglio dire che, più di un censimento, più di un quadro delle nostre ricchezze, più dello stato dei nostri monumenti e più di una “progettualità” fine a se stessa, noi abbiamo il bisogno di tradurre i contenuti di queste attività progettuali in logiche di sviluppo socioeconomico: in altre parole, un piano strategico dev’essere anche programmazione dello sviluppo economico delle nostre comunità ed è proprio in questo che sta il senso, il significato “strategico” di questa pianificazione.

Infine, va rimarcato il fatto che solo e soltanto in questa ottica evolutiva, di programmazione strategica del nostro sviluppo socioeconomico, che hanno senso di esistere quelle ragioni e quelle logiche di cooperazione con cui fare di Gravina in Puglia, di Altamura, di Poggiorsini e di Santeramo in Colle, un’Area Vasta ed un unico sistema territoriale.

Pietro Perrucci.

martedì 20 maggio 2008

5° Contributo al Piano Strategico di Area vasta: “La Città Murgiana della Qualità del Benessere”

5° Contributo. Pianificazione Strategica ed Area Vasta

Discutendo della mancata presentazione delle “Analisi di contesto” del Piano Strategico di Area vasta: “La Città Murgiana della Qualità del Benessere”, ho rilevato quanto poco conosciuto fosse il significato stesso di “pianificazione strategica”, anche tra coloro che per livello di formazione ed affinità professionale, dovrebbero essere abbastanza informati su questa tematica. Pur attribuendo questo deficit di conoscenze fatto che non tutti sanno quali e quante trasformazioni sono intervenute in Italia, negli ultimi venti anni di “programmazione dello sviluppo socioeconomico locale”, ritengo comunque che questa carenza di informazione non è certo una cosa positiva per la "nostra" attività di pianificazione strategica dal momento che questa necessita di un certo livello di articolazione, per poter essere adeguata ad un contesto di “Area Vasta” e per riuscire a realizzare quella “Città Murgiana” che sia condizione di “Qualità” e di “Benessere”. Per questa ragione, in questo mio contributo vorrei provare a definire alcuni dei significati che dovrebbero essere propri di questo processo, ovvero quello di "pianificazione strategica" e quello di "Area Vasta".

Per semplificare le cose, proverei a partire dalla stessa intitolazione di questo processo:

Piano Strategico di Area vasta: “La Città Murgiana della Qualità del Benessere”

Come si può vedere, in questa intitolazione si mettono insieme cinque elementi, tra strumenti, ambito territoriale di riferimento ed obiettivi, che sono nell’ordine:

il Piano Strategico - l’Area Vasta - la Città Murgiana - la Qualità - il Benessere.

Focalizzando l’attenzione sui primi due di questi elementi, occorre dire che per poter definire correttamente il concetto di “piano strategico”, si deve necessariamente partire da almeno quattro delle principali definizioni di “pianificazione strategica” (quelle a cui mi sono riferito sono: la legge urbanistica inglese del 1968, l’attività di “corporate planning” eseguita negli Stati Uniti nella prima metà degli anni ’80, la definizione dell’ “Institute for Operational Research” di Coventry, in Gran Bretagna, e quella del sociologo Lindblom, del 1975), dalle quali si ricava che per piano strategico si è portati ad intendere un percorso di “costruzione sociale e politica” che non è solo di “governance”, ma che è, al tempo stesso, anche di “partnership” e di “networking”, volto alla ricerca della coesione dei cittadini e dei loro interessi, con il fine ultimo di elaborare, mediante la loro partecipazione ed il loro consenso, determinate strategie e/o politiche di sviluppo di un territorio.

Se questo concetto di piano strategico sembra essere abbastanza condiviso, più difficile è capire cosa si debba intendere per “area vasta”. In alcuni documenti di pianificazione e di programmazione territoriale della Regione Puglia (che ho utilizzato nei miei studi sull’Area Metropolitana di Bari, oggi anch’essa alle prese con la realizzazione di un piano strategico), ho potuto accertare che per area vasta si intende generalmente “… una entità territoriale, a dimensionamento intermedio tra quello comunale e quello provinciale, generata dall’aggregazione di comuni che, per ragioni geomorfologiche, di contiguità territoriale, di integrazione socioeconomica ed anche per comunanza di obiettivi e di interessi, decidono di mettersi insieme per produrre e gestire in maniera associata, conveniente e funzionale, servizi e strutture amministrative che altrimenti risulterebbero economicamente sconvenienti da gestire o da produrre in maniera autonoma, perché troppo costosi”. Stando a questa definizione, per Area Vasta non dovrebbe intendersi l’istituzione di un nuovo governo intermedio del territorio, anche se le indicazioni che emergono da molti degli addetti ai lavori, per Area Vasta deve invece intendersi proprio l'istituzione di un ulteriore livello di governo, posto al di sopra dei comuni e al dì sotto della Provincia.
In attesa di specifche indicazioni della Regione Puglia, ho fatto una ricerca sulle pregresse esperienze di area vasta in Francia, Gran Bretagna e Olanda, laddove è emerso che quelle esperienze ispirate a una “concezione strutturalista” del termine di area vasta, cioè quelle che prevedevano la costruzione di un nuovo livello di governo del territorio (magari strutturato su un doppio livello di funzioni), sono state tutte fallimentari, perché questo modello di area vasta è risultato essere sia finanziariamente molto dispendioso di risorse pubbliche, sia concettualmente inconciliabile con quegli “approcci partecipativi alle politiche di sviluppo socioeconomico locale”. Al contrario, laddove invece l’istituzione di area vasta si è ispirata ad una “concezione funzionale” del termine di area vasta, cioè basata su quei modelli che prevedevano l'istituzione di un sistema gestionale “snello e flessibile” e la partecipazione diretta dei cittadini ai vari processi decisionali, l’esperienza di area vasta ha avuto successo per il fatto di essere sia meno costosa, sia più affine agli approcci partecipativi allo sviluppo locale.

In funzione di ciò, per il nostro contesto di pianificazione strategica anch’io vedo con molto favore non già l'istituzione di un nuovo governo del territorio, bensì un sistema di gestione comune di servizi e funzioni, sicuro del fatto che una concezione strutturalista di area vasta, mal si concilierebbe con lo spirito e con il significato della pianificazione strategica, che non è certo quello creare nuovi livelli di governo del territorio, bensì quello di favorire la partecipazione dei cittadini, delle comunità, delle associazioni e dei soggetti svantaggiati, anche perché questi nostri territori, per molto tempo, hanno fatto registrare deficit di democrazia e di rappresentanza, proprio per il prevalere degli interessi e dei poteri politicamente rappresentati nei vari governi dei nostri enti locali.

Quindi, a prescindere da come si esprimerà la regione Puglia e dai modelli di area vasta “giuridicamente contemplati ed istituzionalmente possibili” del nostro ordinamento sulle Autonomie Locali, “attraverso lo strumento della pianificazione strategica, più che istituire un nuovo governo del territorio, si dovrà invece restituire alle nostre comunità quella capacità di "autodeterminarsi", ovvero si dovrà restituire quella la possibilità che siano le nostre stesse comunità a decidere del proprio territorio, dopo tanti anni in cui le politiche territoriali venivano imposte dall’alto, o dal governo nazionale, o dal governo regionale”. Cosicché, lo scopo della nostra area vasta diventa duplice: da una parte, dovrà realizzare economie di scala nella produzione e nella erogazione di molteplici servizi e funzioni, sia mediante un ampliamento della domanda di questi servizi e funzioni a tutti i comuni che ne fanno parte, sia mediante un esercizio associato, congiunto, coordinato ed organizzato di questi servizi e funzioni che si vogliono mettere a sistema; e dall’altra, dovrà dotarsi di un sistema gestione di questi servizi e funzioni, che sia espressione della nostra volontà, che sia “snello e flessibile”, che consenta di risparmiare e di liberare risorse di spesa pubblica per altri impieghi di bilancio e per altre politiche, e che abbia ad oggetto proprio il conseguimento di quegli obiettivi di “qualità” e di “benessere” della “Città Murgiana” che, in pratica, sostanzierebbero gli obiettivi di un moderno e contemporaneo concetto di sviluppo socioeconomico.

Inoltre, dal momento che debbono conseguirsi degli obiettivi di sviluppo socioeconomico, torno a ripetere che è altresì necessario che tutta l’attività di pianificazione strategica, oltre a sottrarsi alla politica (intesa quale insieme di decisioni che vengono imposte alle nostre comunità locali) debba improntarsi sia alla più ampia partecipazione dei cittadini, sia ad un rigore metodologico che significhi elaborazione ed articolazione condivisa di un vero e proprio processo di policy (Policy Making e Policy Analysis) e garanzia di successo contro il rischio che la politica scippi alla partecipazione tutto il processo di pianificazione strategica, che per definizione deve essergli proprio.

Putroppo, il ritardo nella presentazione delle "Analisi di Contesto", la mancata attivazione degli strumenti della partecipazione e la mancanza di specifiche figure professionali, sono tutti segnali che vanno nella direzione opposta a quella che invece dovrebbe essere propria di questo processo.

Sempre disponibile a collaborare a tempo pieno e a titolo gratuito.

Pietro Perrucci

giovedì 8 maggio 2008

4° Contributo Pianificazione Strategica di Area Vasta: "La Città Murgiana della Qualità e del Benessere"

4° Contributo. Buona governance a tutti

In previsione del trittico di incontri che state per compiere, a Voi attori istituzionali, principali artefici del Piano Strategico di Area Vasta "La Città della Qualità e del Benessere", auguro "Buona Governance" a tutti. Questo augurio perché state per compiere finalmente un passaggio fondamentale nella pianificazione strategica di riferimento.
È notorio, infatti, che a prescindere dalle varietà di soluzioni organizzative della produzione che sono riscontrabili nel nostro variegato panorama nazionale e regionale, il radicamento territoriale ha da sempre rappresentato per l’impresa, per le amministrazioni locali e per ogni il sistema socioeconomico locale, una rilevante risorsa in termini di competitività, lo strumento per la salvaguardia della coesione sociale, lo strumento per conseguire l’obiettivo della sostenibilità ambientale, una strategia per consolidare le società locali economicamente più dinamiche e per promuovere la crescita di altre società locali più arretrate.
Per questo, nel passaggio da un tipo sviluppo locale top-down, esogeno, imposto dall’alto, ad uno di tipo bottom-up, endogeno, che parte dal basso, lo sviluppo non è stato più concepito soltanto come un portato di attori esterni che rompono la logica di dipendenza o comunque di stagnazione della periferia, ma anche come una "costruzione sociale e politica", in cui il gioco degli attori endogeni è una componente molto importante.
Questa "costruzione sociale e politica" si chiama "governance" e si fonda essenzialmente sulla concertazione che non riguarda solo l’allocazione delle risorse, ma anche una serie di elementi che gli sono propri, ovvero un processo di tipo incrementale e concreto, una durata di lungo periodo, obiettivi non solo economico-sociali ma anche culturali, interessi endogeni proiettati su scala sovralocale, interventi integrati e multidimensionali, inclusività di tutti i soggetti economici istituzionali e sociali, finalità di sviluppo sostenibile e quindi di sviluppo autopropulsivo, la partecipazione di tutti attori locali ed un loro ruolo propositivo e recettivo.
In funzione di questi elementi, vorrei ricordarvi che i soggetti coinvolti nella governance non sono solo i comuni, ma tendono a coincidere con l’intera cittadinanza, anche se un ruolo strategico è comunemente riconosciuto ai soggetti istituzionali, pubblici e privati (amministratori locali, responsabili dei progetti di sviluppo, rappresentanti delle parti sociali e delle realtà associative ecc.), ossia alla classe dirigente locale, la cui "qualità" diventa un aspetto strategico.
Per questo, in funzione degli incontri tra i 4 comuni dell’Area Vasta cui si rivolge la pianificazione strategica "La Città della Qualità e del Benessere", la governance di questi comuni si dovrà porre in una prospettiva estremamente ambiziosa, che deve mettere in gioco le principali risorse di democrazia di cui le nostre comunità dispongono, acquisendo così l’idea della pianificazione strategica come di un percorso collettivo, che misura il senso di responsabilità verso se stessi, verso i soggetti a rischio d’esclusione, verso le generazioni future, verso l’ambiente e verso il patrimonio di cultura civica. Per dirla con una espressione di Jacques Delors, "si tratta di un’avventura collettiva che promuove la cittadinanza e rinnova la vitalità democratica… e qui il tema dell’inclusività, sta al cuore della governance, proprio perché la disponibilità di attori umani riflessivi e capaci di intelligibilità è il presupposto irrinunciabile di quel lavoro di invenzione istituzionale necessario a dare corpo a un progetto di sviluppo condiviso e soprattutto inclusivo".
Quindi, è necessario ribadire che per governance si deve intendere un "nuovo stile di governo", caratterizzato dal più alto livello di cooperazione e di integrazione tra attori pubblici e privati all’interno di reti decisionali, ovvero un insieme di interazioni che danno luogo a scelte di governo, ma che si differenzia dal termine "government" che indica il governo o le scelte che promanano direttamente dalle istituzioni o dai vari enti locali.
Aspetti salienti di questo processo nell’ambito della pianificazione strategica dovranno essere:
- la partecipazione, ovvero meccanismi di coinvolgimento "ex-ante" e "in-itinere" continui, ampiamente pubblicizzati e metodologicamente adeguati, predisposti per supportare i rappresentanti delle diverse realtà locali attraverso strumenti e momenti strutturati di consultazione interna e co-decisione, e soprattutto di un’attività di formazione e informazione continua con i "policy-makers", che è estremamente essenziale per la buona riuscita del processo;
- il ruolo fortemente incisivo degli animatori dello sviluppo locale, per stimolare e promuovere l’elaborazione continua di progetti innovativi e di qualità, per l’emersione e per l’individuazione di soluzioni progettuali attraverso strumenti stabili di progettazione collettiva;
- il metodo. La governance richiede creatività, passione, ma anche metodo. Diventano importanti a tal proposito i contributi di centri di ricerca locali, agenzie di sviluppo e laboratori universitari che possono offrire supporto metodologico per l’attivazione e l’azione dei gruppi di lavoro, coordinamento tecnico dei diversi strumenti operativi, elaborazione dei diversi documenti di analisi e progettazione;
- nuove figure professionali, in grado di favorire i processi di partecipazione e programmazione negoziata, implementare la valutazione e il monitoraggio delle politiche attivate;
- gli attori privati, che devono sostenere pienamente il percorso fin dalle sue fasi iniziali, anche attraverso forme esplicite di codificazione di questo ruolo designando coordinatori o comitati strategici o gruppi guida. Senza la spinta motivante e critica di operatori economici e sociali privati, il percorso concertativo non avrebbe la stessa credibilità a livello locale. Il grado di fiducia nelle istituzioni da parte degli operatori privati e la fiducia delle istituzioni verso i privati incide in modo determinante sui successo del processo pianificatorio, soprattutto rafforzando la coesione e lo sforzo collettivo a continuare a dedicarsi al percorso;
- lo sforzo attuativo. Uno dei nodi che si deve affrontare nell’ambito della pianificazione strategica è rappresentato dal passaggio dalla fase progettuale a quella attuativa e lo sforzo che si richiede propende verso il ricorso alle "best practices", una robusta attività di valutazione "in-itinere" ed "ex-post", il monitoraggio dello stato di avanzamento dei singoli progetti, e, nello stesso tempo, il costruire e ricostruire continuamente le motivazioni, le responsabilità e il consenso sul processo;
- la governance della governance. Una volta ricostruita la governance territoriale in base a principi di coordinamento reticolare ed interattivo, è necessario anche prevedere forme di apprendimento evolutivo delle forme di cooperazione territoriale e istituzionale. Si tratta di pensare a percorsi di "gestione" della governance, sia per modificare e perfezionare di continuo i meccanismi partecipativi, sia per introdurre innovazioni di metodo e organizzazione a fronte di possibili cambiamenti di scenario, esterni e interni, derivati da trasformazioni economiche, istituzionali, dai rapporti di forza tra gli attori, dall’ingresso di nuovi soggetti, dall’emersione di nuovi interessi, dall’evoluzione dei valori alla base della pianificazione strategica. In tale prospettiva, il ruolo dei 4 comuni acquista valore di riequilibrio, mediazione, stimolo, interfaccia delle relazioni tra gli agenti, autoapprendimento, innovazione e interattività;
- approccio operativo strategico. La pianificazione strategica deve seguire, in conclusione, alcuni criteri guida per una "strategia di sviluppo locale di successo", di cui la vision, l’integrazione, più partnership e meno controllo gerarchico, la credibilità degli attori privati, il supporto politico, finanziario e tecnico degli enti locali, la fiducia e la cooperazione tra tutti gli stakeholders, la ripartizione delle responsabilità e l’adeguamento continuo di tutta la pianificazione strategica, ne debbono essere gli aspetti essenziali.

Sempre disponibile collaborare a tempo pieno e gratuitamente per le vostre attività, auguro ancora Buona Governance a tutti.
Pietro Perrucci

martedì 22 aprile 2008

3° contributo al Piano Strategico di Area Vasta "Città Murgiana della qualità e del Benessere"

3° Contributo al Piano Strategico di Area Vasta "Città Murgiana della qualità e del Benessere"

In attesa di prendere visione dei contenuti dell'Analisi di Contesto, provo a delineare alcune modalità intepretative che potranno servire per inquadrare l'Analisi di Contesto in base a tematiche/problematiche che ritengo pertinenti per comunità della nostra Area Vasta.

3° Contributo: Tre modalità interpretative per l'Analisi di Contesto

La prima di queste modalità interpretative fa riferimento a quella che secondo me sarebbe dovuta essere l'articolazione del Partenariato e che qui ripropongo su tre ambiti fondamentali del nostro contesto, Istituzioni, Economia e Società, per ognuno dei quali propongo diverse linee tematiche.

ISTITUZIONI
- P.A./Europa/Cooperazione/Capacità Istituzionale
- Governance/Partecipazione/Accessibilità
- Sviluppo/Ambiente/Sostenibilità/Programmazione/Marketing Territoriale
- Infrastrutture/Opere Pubbliche/Energia/Trasporti
- Istruzione/Scuola/Educazione
- FF.OO./Sicurezza/Protezione Civile
- Tutela dei Beni Ambientali, Paesaggistici, Storici, Culturali, Architettonici
ECONOMIA
- Agricoltura/Zootecnia/Foreste/Bio-Agricoltura/Prodotti Tipci
- Industria: Alimentare/Cartaria/Chimica/Costruzioni-Edilizia/Elettronica/Energia/Meccanica/Metallurgia/Mineraria-Estrattiva/Mobile-Legno/Tessile
- Artigianato
- Servizi: Consulenze/Finanza/Commercio-Distribuzione/Informazione/Ristorazione-Enogastronomia/Servizi in Rete/Trasporti/Turismo-Sport-Tempo Libero/Attività Ricreative/Attività Culturali
SOCIETA'
- Famiglia/Assistenza Sociale/Solidarietà
- Servizi Sanitari
- Inclusione Sociale/Pari Opportunità/Società dell'Informazione
- Lavoro/Occupazione/Welfare/Migrazioni/Formazione/Sicurezza del Lavoro
- Cittadinanza Attiva/Volontariato/Associazionismo
- Tutele/Diritti Diffusi/Interessi Collettivi

La seconda modalità interpretativa dell'Analisi di Contesto potrebbe essere quella basata sull'articolazione dei temi per lo sviluppo, previsti nella Programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali europei, che a mio avviso, però, necessità di una preventiva attività di contestualizzazione molto attenta e di una quantificazione dei problemi basata su dati statistici ufficiali.

- Politiche Attive del Lavoro
- Formazione professionale
- Energia
- Impresa
- Ambiente
- Trasporti
- Concorrenza e Mercati
- Pari Opportunità
- Inclusione Sociale
- Libertà, Giustizia, Sicurezza
- Società dell'Informazione
- Rafforzamento della Capacità Istituzionale
- Sviluppo Locale
- Ricerca e sviluppo
- Sviluppo Sostenibile
- Risorse Naturali e Culturali
- Reti e Collegamenti
- Competitività dei Sistemi Produttivi
- Competitività dei Sistemi Territoriali
- Innovazione
- Internazionalizzazione
- Governance

La terza modalità interpretativa potrebbe essere quella che rispecchia in qualche modo gli obiettivi e gli scopi suggeriti nelle Linee Guida proposte dal Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici della Regione Puglia, per le dieci aree vaste della Regione Puglia (Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 104 del 20.07.2007) . Di queste Linee Guida, pur non condividendone metodo, articolazione operativa e altri contenuti, ritengo però che possa essere ugualmente importante impostare un'analisi di contesto sugli obiettivi e sugli scopi dell'Area Vasta, in modo da agevolare al massimo le attività di valutazione, monitoraggio, adeguamento ed adattamento dell'intero processo di Policy, che sta alla base dell'attività di Pianificazione Strategica. In altre parole, quindi, si tratterebbe di impostare e/o esaminare i risultati dell'Analisi di Contesto sulla base delle seguenti argomentazioni chiave, ciascuna delle quali corrisponde ad un obiettivo che il Nucleo di Valutazione suddetto ha attribuito alla Pianificazione Strategica per ognuna delle dieci aree vaste pugliesi.

- Esplicitazione di Bisogni, Esigenze, Aspirazioni, Tematiche, Questioni e Problematiche
- Sviluppo Economico e Strategie di Sviluppo
- Finanziamenti dei Programmi Operativi, Risorse F.A.S. e altri Finanziamenti Regionali
- Vision Strategica dello Sviluppo Socioeconomico
- Implementazione di Potenzialità, Opportunità, Vocazioni e Reti Infrastrutturali - Mettere a sistema il Capitale Sociale, il Capitale Umano e il Capitale Ambientale
- Territorializzazione delle Prospettive di Eviluppo Economico e Sociale
- Programmare/Pianificare Opere Pubbliche, Mobilità Urbanistica, Politica della Casa, Servizi Sociali, Welfare, Occupazione e Ambiente

Ovviamente, queste modalità interpretative andrebbero discusse e perfezionate in sede di partenariato ed in sede di partecipazione, dal momento che una delle migliori e più efficaci modalità per ottenere un'ottima analisi di contesto sarebbe quella di estrapolarla dagli incontri con gli attori, cittadini e stakeholders, ovvero di estrapolarla dall'attività di partenariato. Purtroppo, nei due soli incontri che si sono organizzati (con il patenariato istituzionale e con quello socioeconomico) non si è minimamente accennato neanche a queste modalità di analisi ed è stato anche per questo motivo che io ho parlato di partenariato di scarsa qualità.
Ad ogni modo, rinnovo la mia disponibilità a collaborare gratuitamente ed a tempo pieno per le attività del Piano Strategico.

Pietro Perrucci


giovedì 3 aprile 2008

2° Contributo al Piano Strategico di Area Vasta: "La Città Murgiana della Qualità e del Benessere"

In qualsiasi ambito della progettazione, pianificazione e programmazione, i processi attraverso i quali si arriva a disegnare un qualsiasi intervento per la soluzione di un problema, poggiano tutti su di un elemento fondamentale, l’informazione, espressa sotto qualsiasi forma di sapere, notizia, dato statistico, ecc…; per questo, prima di attivare un qualsiasi processo decisionale, i policy maker debbono aver ben chiaro il piano della comunicazione, ovvero il percorso che deve compiere l’informazione, ancor prima che questa diventi oggetto della comunicazione e forma di conoscenza. In sede di "Piano strategico di Area Vasta: La Città Murgiana della Qualità e del Benessere", non si è ancora parlato di un piano per la comunicazione esterna ed interna, e questo è motivo di preoccupazione dal momento che va dequalificare quel minimo di operatività e di lavoro che è stato fatto fino a questo momento, visto che molte attività risultano essere già in una fase piuttosto avanzata. Per questo, il presente contributo vale come insieme di suggerimenti ed indicazioni che offro a quanti in questo ambito si stanno occupando di informazione e comunicazione, proprio per tentare di recuperare quel minimo di rigore necessario a qualificare come pianificazione strategica tutta l’attività che in questo contesto è stata già avviata.

2° Contributo: Informazione e Piani di Comunicazione
Parlando di informazione, si deve subito ribadire che non occorre essere necessariamente esperti di comunicazione per capire come gran parte del successo dell’attività di un policy maker poggia sulla qualità dell’informazione e sull’ottima gestione del ciclo che compie la stessa informazione all’interno dei vari ambiti decisionali, siano essi della progettazione, della pianificazione, della programmazione e quindi anche della politica; al contrario, occorre essere autentici esperti della comunicazione laddove l’informazione è praticamente tutto, come nella pianificazione strategica. In questa sede, infatti, l’informazione acquisisce una particolare importanza rispetto ad altre sedi decisionali, perché essa rappresenta sia l’input con cui si avvia il normale processo di policy, sia il punto di partenza nel mettere a punto "il sistema informatico di supporto alle decisioni" che viene predisposto in funzione di quel principio di trasparenza che è proprio di ogni processo/procedimento amministrativo, ed in funzione di quel basilare elemento della pianificazione strategica, "la partecipazione", al fine di renderla concreta ed efficace.

Per questo, le difficoltà che vi sono nel definire un piano di comunicazione per la pianificazione strategica sono molteplici, tant’è vero che per tentar di ridurre queste difficoltà, il piano di comunicazione di un piano strategico è spesso il risultato di un lavoro di gruppo, alla cui definizione concorrono tutte le competenze tecniche e scientifiche che operano in questo ambito.
E proprio in funzione di ciò, è opportuno specificare due cose: innanzitutto, questo mio contributo non ha in se (né potrebbe averle) le caratteristiche della esaustività, ma può, semmai, essere utilizzato assieme ad altri contributi, conoscenze e saperi in merito; inoltre, tengo a specificare che tutto quanto vien qui riportato, rispecchia quanto ho appreso in sede di formazione post-universitaria internazionale, e pertanto sarei ben lieto di offrire ulteriori chiarimenti, informazioni e notizie, a chiunque ne faccia richiesta e a chiunque voglia confrontarsi.

Tornando al piano di comunicazione, in diversi contesti formativi ho avuto modo di apprendere che nell’ambito della pianificazione strategica sarebbe opportuno predisporre sia un piano per la comunicazione esterna, sia un piano per la comunicazione interna. In ognuno di questi due piani, ogni fatto, evento, bisogno, questione, tematica problematica, ecc…, possono diventare INFORMAZIONE attraverso un’attività di QUALIFICAZIONE, tendente appunto ad accertare se l’informazione abbia in se determinate caratteristiche (attendibilità della fonte, elemento oggettivo, elemento soggettivo, prova documentaria). Nel caso vi siano tutte queste caratteristiche saremmo in presenza di una INFORMAZIONE AUTENTICA/VERA, che può arrivare in fase di STRUTTURAZIONE per essere definita in maniera esaustiva, può passare per la COMUNICAZIONE, fase in cui si sceglie il "media" con cui diffonderla, divenendo poi CONOSCENZA una volta che arriva ai destinatari/utenti. Nel caso, invece, non ci sia nessuna delle caratteristiche sopra richiamate (attendibilità della fonte, elemento oggettivo, elemento soggettivo, prova documentaria) si è in presenza di una INFORMAZIONE NON AUTENTICA/FALSA, che non arriva in fase COMUNICAZIONE-CONOSCENZA, se non quale informazione opportunamente motivata come falsa.

Nella stragrande maggioranza dei casi, però, l’informazione con cui si opera negli ambiti della progettazione, pianificazione e programmazione, e quindi anche nell’ambito della pianificazione strategica, è una informazione che non ha in se tutte le caratteristiche di una informazione autentica/vera e perciò è una INFORMAZIONE PLAUSIBILE. Tralasciando di elencare le varie tipologie di informazione plausibile, ciò che è importante dire in questo contesto è il fatto che circa il 90% di tutte le informazioni che vengono utilizzate sono di tipo plausibile è questo incide soprattutto nella comunicazione interna, laddove prima di essere utilizzata deve essere supportata dalla più ampia DOCUMENTAZIONE possibile (di fonti, di prove, di elementi oggettivi e soggettivi, ecc…), passa poi in fase di DISSEMINAZIONE (per poter essere nota a tutti gli addetti ai lavori) e, quindi, deve essere oggetto di ANALISI per poter essere strutturata, prima del suo IMPIEGO/UTILIZZO nella pianificazione strategica.
Con il suo impiego/utilizzo, siamo già alle prime fasi del processo di policy, ovvero nella fase di "Agenda", se stiamo definendo il ciclo di POLICY MAKING (utile soprattutto per il piano di comunicazione esterna), o nella fase di "Strutturazione del problema" se stiamo definendo il ciclo di POLICY ANALYSIS (utile soprattutto per il piano di comunicazione interna).

Per ciò che attiene l’utilizzo della informazione nell’ambito della pianificazione strategica è facilmente comprensibile che se non esiste un piano di comunicazione interna ed esterna, tutte le attività che debbono essere svolte in questa sede non potranno avere mai un valido riferimento operativo e metodologico, e ancor meno che scientifico; pertanto, è importante collegare i due piani della comunicazione ai due cicli di policy sopra richiamati e quindi a tutto il processo di policy (determinato dalla intersecazione delle diverse fasi di questi due cicli); inoltre, è altresì fondamentale collegare i piani della comunicazione allo strumento informatico di supporto alla partecipazione ed alla elaborazione delle decisioni. Per questo, i piani di comunicazione devono necessariamente collegarsi, sia con le attività di AGENDA, STRUTTURAZIONE DEL PROBLEMA, FORMULAZIONE, PREVISIONE, ADOZIONE, RACCOMANDAZIONE, IMPLEMENTAZIONE, MONITORAGGIO, GIUDIZIO, VALUTAZIONE, ADATTAMENTO E ADEGUAMENTO, sia con le attività inerenti la partecipazione, ovvero con IL CALENDARIO/DIARIO DELLE ATTIVITÁ, LA MAPPA DEGLI ATTORI E DEGLI STAKEHOLDER, IL CATALOGO E LE TIPOLOGIE DI DATI, IL SISTEMA INFORMATICO, LE AZIONI E LE ALTERNATIVE, LE CATENE CAUSA-EFFETTO, LE MODALITÁ DI ANALISI, LA VALUTAZIONE DI RISULTATI E DI SCELTE ALTERNATIVE, LA GESTIONE DEI CONFLITTI, DELLA NEGOZIAZIONE E DELLA CONCERTAZIONE. Il tutto affinché si possa,
- rendere concreta ed efficiente la partecipazione;
- garantire la trasparenza e la tracciabilità del processo decisionale;
- avere a disposizione dati costantemente aggiornati;
- individuare in ogni momento quale fase di realizzazione progettuale è stata raggiunta.

Quanto sinteticamente ho qui riportato, risulta essere "strategico" anche in funzione della futura gestione dei processi sociali, economici, territoriali e culturali, che dovrebbero scaturire una volta che si incomincia ad attuare quanto pianificato e quanto programmato. Il riferimento, quindi, va alla possibilità che le successive attività che deriverebbero nell’ambito della "Città Murgiana della Qualità e del Benessere",
- possano essere inquadrate con maggior rigore metodologico (Logical Framework);
- possano essere maggiormente riferite alle peculiarità del territorio;
- possano rispondere meglio alle esigenze delle comunità;
- possano consentire il conseguimento di quei obiettivi di efficacia, efficienza, utilità e sostenibilità.

Per questo, concludo ancora una volta ribadendo la mia disponibilità a collaborare a tempo pieno e gratuitamente alle attività del piano strategico suddetto.

Pietro Perrucci

venerdì 28 marzo 2008

Area Metropolitana di Bari

Carissimi colleghi, eccovi l'indice della mia tesi che mi avete chiesto. Tenete conto che sono passati appena 20 anni dalla sua discussione e molte delle tematiche trattate, hanno avuto una evoluzione. Sperando nella sua utilità per i vostri studi e ricerche, resto a vostra disposizione per chiarimenti e informazioni supplementari. Grazie.

Università Università degli Studi di Bari
Laureando Pietro Perrucci
Relatore Ch.mo Prof. Francesco Losurdo
Facoltà Giurisprudenza
Corso di Laurea Scienze Politiche
Indirizzo di Laurea Economico-Internazionale
Materia di Tesi Geografia Politica ed Economica
Anno Accademico 1990/1991
Data discussione 12.12.1991
Voto finale 106/110
IPOTESI E PROPOSTE DI ORGANIZZAZIONE E DI GOVERNO PER UN SISTEMA
TERRITOTIALE POLICENTRICO: L’AREA METROPOLITANA DI BARI
Introduzione
Parte I – Aspetti storico-istituzionali
1. ANALISI DELLE PRINCIPALI ESPERIENZE METROPOLITANE EUROPEE
1.1 Utilità di un’analisi delle aree metropolitane europee
1.1.1 Parigi
1.1.2 Londra
1.1.3 Amsterdam
1.2 Le esperienze di governo metropolitano in Europa. Punti di forza e di debolezza
1.3 Contenuti teorici, metodologici, operativi ed istituzionali dell’esperienza europea
2. IL SISTEMA METROPOLITANO ITALIANO E MERIDIONALE
2.1 Le aree metropolitane in Italia
2.2 Componenti strutturali e dinamiche tendenziali
2.3 La questione metropolitana nel Mezzogiorno
2.4 Problemi di delimitazione territoriale delle aree metropolitane in Italia
2.5 Tentativi di definizione istituzionale: la legge n. 142/90.
Parte II – L’Area Metropolitana di Bari
3. ANALISI DELLE FUNZIONI URBANE E METROPOLITANE
3.1 Rapporto tra delimitazione e funzioni nell’Area Metropolitana di Bari
3.2 Definizione concettuale di “funzione urbana” e “funzione metropolitana”
3.3 Le funzioni amministrative metropolitane secondo la legge n. 142/90
3.4 Attività economiche e definizione funzionale dell’Area Metropolitana di Bari. I
servizi alla popolazione
3.5 Attività economiche e definizione funzionale dell’Area Metropolitana di Bari.
Relazioni tra sistema delle imprese e territorio
3.6 Caratterizzazione funzionale dell’Area Metropolitana di Bari
3.7 Lo scenario emergente e la ripartizione delle funzioni
4. ANALISI DELLA PROGRAMMAZIONE ALIVELLO COMUNITARIO,
NAZIONALE, REGIONALE E PROVINCIALE
4.1 Gli orientamenti della Comunità Economica Europea
4.2 Le indicazioni della programmazione nazionale
4.3 La trasposizione degli indirizzi nella programmazione regionale
4.4 Le opzioni programmatiche e le scelte operative
4.4.1 Gli obiettivi
4.4.2 Le funzioni
4.4.3 Le ipotesi di delimitazione
4.5 Le scelte di programmazione sub-regionale
Parte III – Ipotesi di configurazione dell’Area Metropolitana di Bari
5. PROBLEMI DI DELIMITAZIONE DELL’AMBITO TERRITORIALE
METROPOLITANO
5.1 Dalle ipotesi programmatiche alle tendenze reali
5.2 I fattori costitutivi della metropolitanità dell’area barese. Situazione e tendenze
5.3 Confronti con la realtà delle aree metropolitane europee
5.3.1 Sistema territoriale ed “effetto città”
5.3.2 La rispondenza al “modello reticolare”
5.3.3 Verifica della corrispondenza normativa
5.4 Una proposta di governo metropolitano per Bari
6. LE INIZIATIVE PROGETTUALI IN ATTO
6.1 Riconversione e ristrutturazione della Fiera del Levante
6.2 Programma Tecnopolis
6.3 Nodo ferroviario di Bari
6.4 Valutazione d’insieme delle iniziative progettuali considerate
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA

mercoledì 19 marzo 2008

La Politica di Coesione nella Programmazione 2007-2013

Anche se con colpevole ritardo, arrivo finalmente a pubblicare una sintesi delle principali novità in materia di politica di Coesione Europea. Il lavoro di sintesi, non è stato nè facile, nè potra mai essere esaustivo, viste le molteplici novità riscontrate rispetto alla programmazione 2000-2006. Pertanto, quello che leggerete in questo articolo è solo un tentativo che ho fatto per ordinare quelli che (a mio avviso) sembrano essere gli elementi più importanti. Volutamente ho trascurato la parte dei Programmi Operativi, regionali, nazionali, interregionali e di cooperazione internazionale, la cui quantità è tale da non riuscire ad oggi ad avereun quadro chiaro e completo.

1. Orientamenti Strategici Comunitari in materia di Coesione

Priorità:
1. Rendere più attraenti gli Stati membri, le regioni e le città migliorando l’accessibilità, garantendo una qualità e un livello adeguati di servizi e tutelando l’ambiente.
2. Promuovere l’innovazione, l’imprenditorialità e lo sviluppo dell’economia della conoscenza mediante lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione, comprese le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
3. Creare nuovi e migliori posti di lavoro attirando un maggior numero di persone verso il mercato del lavoro o l’attività imprenditoriale, migliorando l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese e aumentando gli investimenti nel capitale umano.
Principi:
1. Incentrarsi maggiormente sulla conoscenza, sulla ricerca, sull’innovazione e sul capitale umano. 2. Sviluppo sostenibile.
3. Parità tra uomini e donne
4. Prevenire ogni discriminazione basata su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età e orientamento sessuale.
Orientamenti:
1. Rendere l’Europa e le sue regioni più attraenti per gli investimenti e l’occupazione
Potenziare le infrastrutture di trasporto
Rafforzare le sinergie tra tutela dell’ambiente e crescita
Affrontare l’uso intensivo delle fonti energetiche tradizionali in Europa
2. Promuovere la (società della) conoscenza e l’innovazione a favore della crescita
Aumentare e indirizzare meglio gli investimenti nell’RST
Facilitare l’innovazione e promuovere l’imprenditorialità
Promuovere la società dell’informazione per tutti
Migliorare l’accesso al credito
3. Posti di lavoro migliori e più numerosi
Far sì che un maggior numero di persone arrivi e rimanga sul mercato del lavoro e modernizzare i sistemi di protezione sociale
Migliorare l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese e rendere più flessibile il mercato del lavoro
Aumentare gli investimenti nel capitale umano migliorando l’istruzione e le competenze
Capacità amministrativa
Contribuire a mantenere in buona salute la popolazione attiva
La dimensione territoriale della politica di coesione (quarto orientamento?)
1. Contributo delle città alla crescita e all’occupazione
2. Sostegno alla diversificazione economica delle aree rurali, delle aree di pesca e di quelle con svantaggi naturali
3. Cooperazione (Transfontaliera, Transnazionale, Interregionale)

2. I Regolamenti della Programmazione 2007-2013

- 1698/2005 FEASR
- 1080/2006 FESR
- 1081/2006 FSE
- 1082/2006 GECT
- 1083/2006 DISPOSIZIONI GENERALI FESR, FSE, FC
- 1084/2006 FC
- 1085/2006 IPA
- 1198/2006 FEP

3. Acquis Communautaire

- Complementarietà alle azioni nazionali e agli altri strumenti finanziari della Comunità;
- Coerenza con le priorità e le politiche comunitarie, (ivi compreso l’obbligo per la Commissione e per gli Stati membri, in base alle rispettive competenze, di provvedere affinché il 60% della spesa destinata all’Obiettivo “Convergenza” e il 75% della spesa destinata all’Obiettivo “Competitività regionale e Occupazione” siano destinati al perseguimento degli obiettivi prioritari della UE di promuovere la competitività e di creare posti di lavoro)
- Coordinamento con gli altri strumenti finanziari della Comunità;
- Conformità alle disposizioni del trattato e degli atti adottati in virtù di esso;
- Sussidiarietà;
- Programmazione (pluriennale, in fasi, priorità, finanziamento, gestione e controllo);
- Partenariato;
- Cofinanziamento da parte dei privati all’utilizzo dei fondi comunitari;
- Addizionalità del finanziamento da parte della regione e dello Stato Membro;
- Valutazione e Monitoraggio;
- Controllo di gestione;
- Disimpegno Automatico (regola N+2);
- Parità fra uomini e donne e non discriminazione;
- Sviluppo sostenibile;

4. Aspetti Generali della Riforma dei Fondi Strutturali

- Approccio programmatico più strategico
- Raccordo più organico (integrato) di tale politica con le strategie e gli indirizzi dei singoli Stati Membri UE
- Partenariato istituzionale più virtuoso e sistemico
- Introduzione di elementi di semplificazione

5. Principali Innovazioni

- Tre obiettivi: 1) CONVERGENZA fers fse fc (PUGLIA, CAMPANIA, CALABRIA, SICILIA) promuovere condizioni che favoriscano la crescita e fattori che portino a una convergenza reale per gli Stati membri e le regioni meno sviluppati; 2) COMPETITIVITÀ REGIONALE E OCCUPAZIONE fesr fse (TUTTE LE ALTRE REGIONI ESCLUSE BASILICATA IN PHASING OUT OB. 1 E SARDEGNA PHSING IN CRO, EX OB. 2) rafforzare la competitività e l’attrattività delle regioni nonché l’occupazione a livello regionale mediante un duplice approccio: con programmi di sviluppo intesi ad aiutare le regioni ad anticipare e a promuovere il cambiamento economico mediante l’innovazione e la promozione della società della conoscenza, l’imprenditorialità, la protezione dell’ambiente e il miglioramento della loro accessibilità; creazione di posti di lavoro più numerosi e investimenti nelle risorse umane; 3) COOPERAZIONE TERRITORIALE fesr (aree NUTS 3 situate sulla frontiera interna ed esterna terrestre e marittima per max 150 Km) rafforza la cooperazione transfrontaliera mediante iniziative congiunte a livello locale e regionale, la cooperazione transnazionale volta a uno sviluppo territoriale integrato e la cooperazione e lo scambio di esperienze a livello interregionale.;
- Trasferimento delle Iniziative Comunitarie Leader, Urban e Equal, nell’ambito degli P.O., mentre Interreg diventa il terzo obiettivo della programmazione 2007-2013;
- Riduzione a due soli fondi strutturali FESR E FSE (che intervengono per stabilire le condizioni minime per la nascita di una economia di mercato), mentre il FC, pur finanziando opere infrastrutturali in stati con RNL procapite inferiore al 90%, non viene più considerato fondo strutturale, e perdita della sezione orientamento e della qualità di fondo strutturale da parte dell’ex FEOGA attuale FEASR e della Politica Agricola Comunitaria (PAC);
- Articolazione della politica di coesione su tre livelli: Comunitario (OSCC), Nazionale (QSN) e Regionale (PO);
- Sostituzione del QCS (riferito alle sole regioni ad obiettivo 1) e dei DOCUP (riferiti alle regioni obiettivi 2 e 3) con un unico Quadro Strategico Nazionale (QSN);
- Specificità dei fondi: un P.O. per ogni fondo di ogni regione (P.O. FESR Puglia, P.O. FSE Puglia, P.O. Interreg Puglia, ecc…)
- Articolazione della programmazione in Assi e Azioni (anziché in Assi Misure Azioni);
- Possibilità di un fondo di finanziare in maniera complementare azioni di altri fondi, nella misura del 10% di ciascun finanziamento di asse, finanziamenti FESR per ENPI, IPA e azioni per la cooperazione territoriale nelle regioni CONV e CRO
- Autorità di Pagamento diventa Autorità di Certificazione (Autorità di Gestione, Certificazione e Audit);
- Introduzione di istituti di funzioni gestionali dei PO: Organismo intermedio, sovvenzione globale, sottodelega);
- Rafforzamento del partenariato istituzionale e sociale;
- Introduzione del Beneficiario (invece del beneficiario finale);
- Estensione del principio di proporzionalità in materia di controllo;
- Introduzione della chiusura parziale dei PO;
- Rinvio alle legislazioni nazionali circa l’elegibilità delle spese;
- Facoltà (non più vincolo dello Stato Membro) di istituire la riserva nazionale di efficacia e di efficienza;
- Concentrazione degli interventi su innovazione ed economia della conoscenza, ambiente e prevenzione dei rischi, accessibilità ai servizi di trasporto e delle ITC;
- Istituzione di GECT, con compiti di autorità di gestione e segretariato tecnico congiunto;
- Principali misure del FSE: adattamento di lavoratori ed imprese; accesso all’occupazione prevenzione della disoccupazione, accrescere la vita lavorativa e partecipazione al mercato del lavoro, rafforzare l’integrazione sociale, partenariati per le riforme nei settori dell’occupazione e dell’integrazione;
- Istituzione del FAS (fanno parte del meridione tutte le regioni del sud più Molise e Abruzzo, e stanzia l’85% delle sue risorse di cui almeno il 30% deve andare in conto capitale, cui si aggiunge il 15% comunitario);
- Tre nuovi strumenti di politica regionale aiuteranno gli Stati membri e le regioni ad assicurare una gestione sana e efficiente dei finanziamenti e a fare un miglior uso degli strumenti di ingegneria finanziaria, tramite la BEI: JASPERS (Assistenza congiunta ai progetti nelle regioni europee – Besr CE); JEREMIE (Risorse europee congiunte per le micro, le piccole e le medie imprese – FEI CE); JESSICA (Sostegno comunitario congiunto per lo sviluppo sostenibile nelle aree urbane – Besr CE);

6. La Governance nel Processo di Programmazione 2007-2013

- Intesa Stato-Regioni-Autonomie Locali del 3 febbraio 2005;
- Documenti Strategici Preliminari Nazionali dei Ministeri interessati
- Documento Strategico del Mezzogiorno
- Documenti Strategici Preliminari Regionali
- Evoluzione dei Documenti Strategici Preliminari Regionali in Documenti Unitari
- Evoluzione Documenti Strategici Preliminari Nazionali in Documenti di programmazione settoriale
- Individuazione delle Intese Istituzionali di Programma e relativi APQ
- Introduzione dell’Accordo di Programma Regionale (Strumento di Attuazione Regionale)
- Orientamenti Strategici per la Coesione Economica Sociale Territoriale del Consiglio Europeo proposti dalla Commissione e dagli Stati Membri
- Elaborazione del QSN ed estensione del QSN ai Fondi Europei e al FAS
Per la Governance a riguardo la cooperazione territoriale europea si faccia ridfìferimento ai seguenti organi GECT:
- Autorità di Gestione Unica (MA)
- Segretariato Tecnico Congiunto (JST)
- Comitato di Sorveglianza
- Autorità di Certificazione Unica
- Autorità di Audit Unica
- Coordinatori Nazionali e National Contact Point

7. Le Principali Indicazioni del Regolamento n. 1083/2006 CE

A) QUADRO DI RIFERIMENTO STRATEGICO NAZIONALE - QRSN
E' presentato dallo Stato per: 1) assicurare la coerenza dell'intervento dei Fondi con gli orientamenti strategici comunitari per la coesione e che identifica il collegamento con le priorità della Comunità, da un lato, e con il proprio programma nazionale di riforma, dall'altro; 2) preparare la programmazione dei Fondi. 3) applicare l'obiettivo «Convergenza» e l'obiettivo «Competitività regionale e occupazione» e anche l'obiettivo «Cooperazione territoriale europea», se uno Stato lo decide. Il QRSN contiene: a) un'analisi delle disparità, dei ritardi e delle potenzialità di sviluppo; b) la strategia scelta in base a tale analisi, comprese le priorità tematiche e territoriali; c) l'elenco dei programmi operativi per gli obiettivi «Convergenza» e «Competitività regionale e occupazione»; d) una descrizione del modo in cui la spesa per gli obiettivi «Convergenza» e «Competitività regionale e occupazione» contribuisce alle priorità dell'Unione Europea di promuovere la competitività e di creare posti di lavoro, compreso il raggiungimento degli obiettivi degli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (2005-2008), di cui all'articolo 9, paragrafo 3; e) la dotazione annuale indicativa di ciascun Fondo per programma; f) unicamente per le regioni dell'obiettivo «Convergenza»: i) l'azione prevista per rafforzare l'efficienza amministrativa dello Stato membro; ii) l'importo della dotazione annuale complessiva prevista nell'ambito del FEASR e del FEP; iii) le informazioni necessarie per la verifica ex ante del rispetto del principio di addizionalità di cui all'articolo 15; g) per gli Stati membri ammissibili al Fondo di coesione (RNL inferiore al 90% UE 15 e superiore UE 25) le informazioni sui meccanismi volti ad assicurare il coordinamento tra i programmi operativi stessi e tra questi e il FEASR, il FEP, e, se del caso, gli interventi della BEI e di altri strumenti finanziari esistenti. 5. Può inoltre contenere: a) la procedura per il coordinamento tra la politica di coesione della Comunità e le politiche pertinenti a livello nazionale, settoriale e regionale degli Stati membri interessati; b) per gli Stati membri diversi da quelli di cui al paragrafo 4, lettera g), informazione sui meccanismi volti ad assicurare il coordinamento tra gli stessi programmi operativi e tra questi e il FEASR, il FEP, e gli interventi della BEI e di altri strumenti finanziari esistenti. Il QRSN è preparato dallo Stato membro, previa consultazione con i pertinenti, copre il periodo dal 1o gennaio 2007 al 31 dicembre 2003, viene elaborato in dialogo con la Commissione, al fine di garantire un approccio comune (ciascuno Stato membro trasmette il QRSN alla Commissione entro cinque mesi dall'adozione degli orientamenti strategici comunitari per la coesione e la Commissione prende atto della strategia nazionale e dei temi prioritari prescelti per l'intervento dei Fondi e formula le osservazioni che ritiene opportune entro tre mesi dalla data di ricezione del quadro di riferimento. Lo Stato membro può presentare contestualmente il quadro di riferimento strategico nazionale e i programmi operativi.

B) SEGUITO STRATEGICO
1. Rapporto strategico dello Stato Membro: Per la prima volta nel 2007, ciascuno Stato inserisce nel rapporto annuale di attuazione del proprio programma nazionale di riforma una sezione sintetica sul contributo dei programmi operativi cofinanziati dai Fondi ai fini dell'attuazione del programma nazionale di riforma (Rapporto strategico) in cui sono inseriti: a) la situazione e le tendenze socioeconomiche; b) i risultati, le sfide e le prospettive future per quanto riguarda l'attuazione della strategia concordata; c) esempi di buone prassi.
2. Rapporto strategico della Commissione: Per la prima volta nel 2008 e in seguito a cadenza annuale, la Commissione inserisce nel suo rapporto annuale sullo stato dei lavori da presentare al Consiglio europeo una sezione che sintetizza i rapporti degli Stati membri, in particolare i progressi compiuti nel realizzare le priorità dell'Unione Europea intese a promuovere la competitività e a creare posti di lavoro, nonché a raggiungere gli obiettivi degli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (2005-2008). Nel 2010 e nel 2013 e al più tardi entro il 1 aprile, la Commissione elabora un rapporto strategico che sintetizza i rapporti degli Stati membri. Il Consiglio esamina il rapporto strategico nel più breve tempo possibile dopo la sua pubblicazione, ed è trasmesso al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, che sono invitate a tenere un dibattito in merito.
3. Relazione sulla coesione: è fatta dalla Commissione e comprende a) un bilancio dei progressi compiuti in materia di coesione economica e sociale, inclusa la situazione socioeconomica e lo sviluppo delle regioni, nonché l’integrazione delle priorità comunitarie, e b) un bilancio del ruolo dei Fondi, della BEI e degli altri strumenti finanziari, nonché l’effetto delle altre politiche comunitarie e nazionali sui progressi compiuti. Inoltre può contenere: a) proposte di misure e politiche comunitarie che dovrebbero essere adottate per rafforzare la coesione economica e sociale; b) proposte di adeguamento degli orientamenti strategici comunitari per la coesione necessari per rispecchiare i cambiamenti della politica comunitaria.

C) PROGRAMMI OPERATIVI
Le attività dei fondi sono svolte sotto forma di PO durano dal 2007 al 2013 (rivedibili perciò nel tempo), riguardano in genere un solo obiettivo e beneficiano in genere di un solo fondo. E' elaborato dallo Stato che lo presenta alla Commissione che ne verifica la capacità di realizzare le finalità delle priorità del QRSN e OSCC e lo approva o invitalo Stato a modificarlo. La Commissione lo adotterà entro 4 mesi dalla presentazione ufficiale dello Stato. Sono definiti a livello regionale per le regioni NUTS 2 in obiettivo convergenza, a livello nazionale in obiettivo convergenza per Stati che fruiscono del FC, a livello regionale se si tratta di aree NUTS 1 e 2 in obiettivo competitività regionale ed occupazione se finanziate dal FESR, oppure a livello nazionale se finanziate dal FSE, a livello di frontiera o gruppi di frontiera per la cooperazione territoriale europea se transfrontaliera, per zona di cooperazione per la cooperazione transnazionale e a livello comunitario per la cooperazione interregionale. La BEI e il FEI partecipano alla programmazione dell'intervento dei Fondi, alla preparazione dei QRSN e PO. I PO contengono: a) un'analisi della situazione della zona o del settore ammissibili in termini di punti di forza e debolezza e la strategia scelta di conseguenza; b) una motivazione delle priorità adottate tenuto conto degli orientamenti strategici comunitari per la coesione, del quadro di riferimento strategico nazionale nonché dei risultati della valutazione ex ante di cui all'articolo 48; c) informazioni relative agli assi prioritari e ai loro obiettivi specifici e gli indicatori di realizzazione e di risultato, con cui misurare i progressi compiuti rispetto alla situazione di partenza e l'efficacia degli obiettivi nell'attuazione degli assi prioritari; d) una ripartizione indicativa per categoria dell'uso previsto del contributo dei Fondi al programma operativo; e) un piano di finanziamento comprendente due tabelle, una che ripartisce annualmente l'importo della dotazione finanziaria complessiva prevista per il contributo di ciascun Fondo e una che specifica, per l'intero periodo di programmazione, per il programma operativo e per ciascun asse prioritario, l'importo della dotazione finanziaria complessiva del contributo della Comunità e delle controparti nazionali e il tasso di partecipazione dei Fondi.

D) GRANDI PROGETTI. FESR e Fc possono finanziare spese connesse a un'operazione comprendente una serie di lavori, attività o servizi in sé intesa a realizzare un'azione indivisibile di precisa natura tecnica o economica, che ha finalità chiaramente identificate e il cui costo complessivo supera i 25 milioni di EUR nel caso dell'ambiente e i 50 milioni di EUR negli altri settori

E) SOVVENZIONE GLOBALE. Lo Stato membro o l'autorità di gestione può delegare la gestione e l'attuazione di una parte di un PO a uno o più organismi intermedi, da essi designati, compresi gli enti locali, gli organismi di sviluppo regionale o le organizzazioni non governative, secondo le modalità previste da un accordo concluso tra lo Stato membro o l'autorità di gestione e l'organismo in questione.

F) ASSISTENZA TECNICA. Su iniziativa della Commissione: entro un limite dello 0,25 % della dotazione annuale rispettiva, i Fondi possono finanziare le azioni di preparazione, sorveglianza, sostegno tecnico e amministrativo, valutazione, audit e controllo necessarie all'attuazione del presente regolamento. Su iniziativa dello Stato: i Fondi possono finanziare le attività di preparazione, gestione, sorveglianza, valutazione, informazione e controllo dei programmi operativi insieme alle attività volte a rafforzare la capacità amministrativa connessa all'attuazione dei Fondi, entro i limiti del 4 % dell'importo complessivo assegnato nell'ambito degli obiettivi «Convergenza» e «Competitività regionale e occupazione» e del 6 % dell'importo complessivo assegnato nell'ambito dell'obiettivo «Cooperazione territoriale europea».

G) VALUTAZIONE. Le valutazioni sono volte a migliorare la qualità, l'efficacia e la coerenza dell'intervento dei Fondi nonché la strategia e l'attuazione dei programmi operativi, tenendo conto dell'obiettivo di sviluppo sostenibile e della normativa comunitaria in materia di impatto ambientale e VAS. Possono essere di natura strategica (evoluzione di un programma rispetto alle priorità comunitarie e nazionali) oppure di natura operativa (sostenere la sorveglianza di un programma operativo). Effettuate da esperti o organismi, interni o esterni, funzionalmente indipendenti, le valutazioni sono finanziate tramite il bilancio per l'assistenza tecnica ed è la Commissione che fornisce orientamenti indicativi sui metodi di valutazione, compresi i parametri di qualità. Gli Stati membri effettuano una valutazione ex ante per ciascun programma operativo separatamente nell'ambito dell'obiettivo «Convergenza» (salvo se diversamente stabilito). Per l'obiettivo «Competitività regionale e occupazione», gli Stati effettuano, in alternativa, una valutazione ex ante relativa all'insieme dei programmi operativi, una valutazione per ciascun Fondo, una valutazione per ciascuna priorità o una valutazione per ciascun programma operativo. Per l'obiettivo «Cooperazione territoriale Europea», gli Stati membri effettuano congiuntamente una valutazione ex ante relativa a ciascun programma operativo o a vari programmi operativi. Gli Stati membri si dotano dei mezzi necessari allo svolgimento delle valutazioni, organizzano la produzione e la raccolta dei dati necessari e utilizzano i vari tipi di informazioni fornite dal sistema di sorveglianza. La Commissione, su sua iniziativa e in partenariato con lo Stato, può effettuare valutazioni strategiche, connesse alla sorveglianza dei programmi operativi qualora la loro realizzazione si allontani in maniera significativa rispetto agli obiettivi inizialmente fissati. Per ciascun obiettivo, la Commissione effettua una valutazione ex post in stretta collaborazione con lo Stato membro e con le autorità di gestione: questa copre l'insieme dei programmi operativi nell'ambito di ciascun obiettivo ed esamina il grado di utilizzazione delle risorse, l'efficienza e l'efficacia della programmazione dei Fondi e l'impatto socioeconomico. La valutazione ex post è ultimata entro il 31 dicembre 2015.

H) RISERVE. Uno Stato membro può decidere, di propria iniziativa, di istituire una riserva nazionale di efficacia ed efficienza per l'obiettivo «Convergenza» e/o per l'obiettivo «Competitività regionale e occupazione», pari, per ogni obiettivo, al 3 % della propria dotazione complessiva. In tal caso, esso valuta, per ciascuno degli obiettivi e non oltre il 30 giugno 2011, l'efficacia e l'efficienza dei suoi programmi operativi ed entro il 31 dicembre 2011, la Commissione assegna, sulla base delle proposte di ciascuno Stato membro interessato e in stretta consultazione con questo, la riserva nazionale di efficacia ed efficienza. Uno Stato membro può riservare, di propria iniziativa, una quota dell'importo del contributo annuale dei Fondi strutturali,pari all'1 % per l'obiettivo «Convergenza» e al 3 % per l'obiettivo «Competitività regionale e occupazione», per far fronte a crisi impreviste, locali o settoriali, legate alla ristrutturazione economica e sociale o alle conseguenze dell'apertura degli scambi. Lo Stato membro può assegnare la riserva per ciascun obiettivo a uno specifico programma nazionale o all'interno dei programmi operativi.

I) GESTIONE,CONTROLLO, SORVEGLIANZA
Gli Stati membri sono responsabili della gestione e del controllo dei programmi operativi. Lo Stato definisce: a) le funzioni degli organismi coinvolti nella gestione e nel controllo e la ripartizione delle funzioni all'interno di ciascun organismo; b) l'osservanza del principio della separazione delle funzioni fra tali organismi e all'interno degli stessi; c) procedure atte a garantire la correttezza e la regolarità delle spese dichiarate nell'ambito del programma operativo; d) sistemi di contabilità, sorveglianza e informativa finanziaria informatizzati; e) un sistema di informazione e sorveglianza nei casi in cui l'organismo responsabile affida l'esecuzione dei compiti a un altro organismo; f) disposizioni per la verifica del funzionamento dei sistemi; g) sistemi e procedure per garantire una pista di controllo adeguata; h) procedure di informazione e sorveglianza per le irregolarità e il recupero degli importi indebitamente versati; i) Autorità di gestione: un'autorità pubblica o un organismo pubblico o privato, nazionale, regionale o locale, designato dallo Stato membro per gestire il programma operativo; l) Autorità di certificazione: un'autorità pubblica o un organismo pubblico, nazionale, regionale o locale, designato dallo Stato membro per certificare le dichiarazioni di spesa e le domande di pagamento prima del loro invio alla Commissione; m) Autorità di audit: un'autorità pubblica o un organismo pubblico, nazionale, regionale o locale, funzionalmente indipendente dall'autorità di gestione e dall'autorità di certificazione, designato dallo Stato membro per ciascun programma operativo e responsabile della verifica dell'efficace funzionamento del sistema di gestione e di controllo; n) Comitato di sorveglianza: accerta l'efficacia e la qualità dell'attuazione del programma operativo basandosi sugli indicatori finanziari e sugli indicatori di realizzazione e di risultato, tenuto conto del principio di proporzionalità. Gli indicatori permettono di misurare i progressi compiuti rispetto alla situazione di partenza e l'efficacia degli obiettivi nell'attuazione degli assi prioritari.
La Commissione accerta che gli Stati membri abbiano predisposto sistemi di gestione e di controllo conformi alle disposizioni degli articoli da 58 a 62 e, sulla base dei rapporti di controllo annuali, del parere annuale dell'autorità di audit e delle proprie verifiche, che i sistemi funzionino efficacemente durante il periodo di attuazione dei programmi operativi.