venerdì 18 dicembre 2009

STUDI E RICERCHE DI PIETRO PERRUCCI: CITTADINANZA ATTIVA. Progetto didattico-formativo proposto dal Dr. Pietro Perrucci

STUDI E RICERCHE DI PIETRO PERRUCCI: CITTADINANZA ATTIVA. Progetto didattico-formativo proposto dal Dr. Pietro Perrucci

CITTADINANZA ATTIVA. Progetto didattico-formativo proposto dal Dr. Pietro Perrucci


1. Premessa
Dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi, la “democrazia” è subentrata a quasi tutte le preesistenti forme di Stato (autoritario, socialista, coloniale, confessionale, ecc…). Ciononostante, oggi non è possibile definire gli attuali stati tutti ugualmente “democratici”, sia perché non tutti lo sono realmente, sia perché tra gli stessi stati che possono definirsi democratici, fattori quali la forma di governo, l’ordinamento giuridico-istituzionale e le dinamiche socioeconomiche, hanno modellato in maniera differente i loro sistemi socio-politici. Così, i paesi democratici vengono classificati in tre categorie: “paesi a democrazia matura”, “paesi democratici” senza ulteriori aggettivi e “paesi a democrazia recente”. Un “paese a democrazia matura” si distingue dagli altri per la maggior longevità del sistema democratico, per il maggior ricorso a principi e processi tipicamente democratici (libertà, pluralismo, separazione dei poteri, liberismo economico, welfare, il primato della legge su ogni altro potere, ecc…), e soprattutto, per l’elevato grado di partecipazione dei cittadini, in forma singola e/o organizzata, alla vita dello Stato. La Cittadinanza attiva, in quanto “strumento che contempla diverse forme di partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato”, si pone di per sé come elemento qualificante della “maturità democratica” di un paese, anche perché è necessariamente frutto di un precedente processo storico-culturale che si è basato non tanto sul fatto che questo strumento di partecipazione sia contemplato nel suo ordinamento giuridico-istituzionale, quanto sul fatto che le forme di partecipazione della “Cittadinanza attiva” coesistono con una pluralità di altre forme e strumenti di partecipazione e quindi, sul fatto di essere ampiamente condiviso dal punto di vista sociale e culturale.

2. Il progetto didattico e/o formativo
Il percorso di studi sulla “Cittadinanza attiva”, oltre a tener conto della pluralità e della condivisione di strumenti e forme di partecipazione esistenti in uno Stato a democrazia matura, tiene conto del fatto che oggi non esiste un concetto univoco di “Cittadinanza attiva”, dal momento che questo strumento di partecipazione è frutto di processo storico ancora troppo recente. Anzi, in determinati contesti socio-politici maturi, come quello italiano, il grado di indeterminatezza del concetto di “Cittadinanza attiva” è così elevato da essere addirittura confuso e scambiato con quello di altri strumenti e forme di partecipazione.
Pertanto, lo scopo principale del progetto che si sta proponendo è quello di compiere un percorso di studi sulla “Cittadinanza attiva” che arriva a definire il significato e l’ambito che deve essere proprio di questo strumento di partecipazione, partendo proprio dall’evoluzione storico-culturale dei paesi a democrazia matura degli ultimi 30-40 anni e, una volta definito il concetto e il suo ambito di applicazione, si propone di mettere la “Cittadinanza attiva” in relazione con quei elementi che possono ulteriormente qualificare questo strumento di partecipazione, e cioè:
- gli altri strumenti di partecipazione esistenti nel sistema socio-politico italiano;
- le forme di “Cittadinanza attiva” esistenti in altri sistemi socio-politici maturi;
- analisi di alcune esperienze di “Cittadinanza attiva”.

Pietro Perrucci

lunedì 2 novembre 2009

Aree Vaste in Puglia. Domande valutative in previsione del convegno di febbraio 2010

1) Coerenza interna – Aspetti metodologici

Con l’obiettivo di “migliorare la gestione e la realizzazione dei processi di governance” (come indicato nella misura 5.1 del POR Puglia 2000-2006), la Ragione Puglia ha attivato innovativi strumenti di gestione del territorio, quali sono “le 9 Aree Vaste in cui è stato suddiviso il territorio della regionale”, che attraverso il metodo della “Pianificazione strategica” (ovvero attraverso la realizzazione di interventi direttamente connessi al conseguimento di specifici obiettivi), arrivassero ad articolare un processo di policy che preveda per grandi linee le seguenti fasi: partecipazione, agenda dei problemi, strutturazione dei problemi, individuazione degli obiettivi, elaborazione delle possibili azioni, adozione degli interventi, individuazioni delle indicazioni e delle raccomandazioni per questi interventi, implementazione, valutazione giudizio, possibilità di revisione del processo ed eventuale riorientamento degli obiettivi, piani della comunicazione interna ed esterna.

Data questa articolazione, quanto coerente è stato il disegno e la realizzazione dell’Area Vasta in cui risiedete, rispetto al processo di policy sopra evidenziato?


2) Partecipazione – Governance

L’esperienza pugliese di pianificazione strategica e di realizzazione delle aree vaste si sarebbe dovuta inquadrare in quel cambiamento culturale che sta interessando da oltre un decennio i cosiddetti paesi a democrazia matura, laddove sono attualissimi “la partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni di cittadini alla definizione delle politiche pubbliche, l’uso di strumenti di democrazia partecipativa (partnership pubbliche private e pubblico-private, networking e governance istituzionali), l’uso di strumenti di democrazia deliberativa (town meeting, deliberation days, le arene deliberative, sondaggi deliberativi) e l’uso di strumenti di democrazia diretta (infodays, strumenti informatici di e-democracy, gli incontri di quartiere, le passeggiate di quartiere, ecc…). Si tratta di governance, ovvero, di evoluti processi di produzione del consenso e di democrazia, nei quali i cittadini, in quanto popolo sovrano, non sono soltanto degli elettori che delegano il proprio potere politico ai loro rappresentanti, ma sono anche dei legislatori aventi il diritto, garantito anche dalla Costituzione, di determinare direttamente le scelte.

In riferimento alla governance, quali strumenti di democrazia partecipativa, di democrazia deliberativa e di democrazia diretta, sopra proposti sono stati attivati nell’Area Vasta di vostro riferimento?
(per ognuno degli strumenti sopra individuati, si chiede di procedere ad una valutazione, utilizzando uno dei 4 criteri: 1) non previsto e non realizzato; 2) previsto e non realizzato; 3) non previsto e realizzato; 4) previsto e realizzato)


3) Coerenza esterna – Aspetti programmatici

L’introduzione di strumenti di Pianificazione Strategica di Area Vasta rappresenta nel panorama pugliese una innovazione assoluta, data la possibilità concreta di dar luogo al “terzo stadio” nell’evoluzione dei rapporti tra istituzioni e società, passando cioè da una fase di rapporti di tipo top-down (fino ai primi anni ’80) e da una fase di tipo bottom-up (fine anni ’90) ad un’altra fase che era quella della coesione, in cui lo sviluppo socioeconomico diventava inclusivo, condiviso, integrato e sostenibile. Da un punto di vista più tecnico-operativo, la realizzazione delle Aree Vaste e della Pianificazione Strategica, avrebbe significato quindi, il conseguimento di questi obiettivi:
- un uso più efficace ed efficiente delle risorse dei fondi strutturali europei degli ultimi due periodi di programmazione (2000-2006 e 2007-2013);
- la possibilità di coordinare questo sfruttamento con le altre risorse nazionali e regionali;
- l’opportunità di gestire in ogni Area Vasta tutti gli altri strumenti di programmazione e di pianificazione di livello regionali e provinciali (DRAG, PTCP, PIRP, PPTR, ecc…);
- rendere tecnicamente possibili altri processi di policy territoriale, tanto negli obiettivi, quanto nei metodi e negli strumenti;
- rendere possibili il networking ed il partenariato istituzionale, economico e sociale, sia per le aree a maggior sviluppo socio economico, sia per le aree a più elevato grado di marginalità economico-territoriale in Puglia;
- fare sistema e fare sinergia.

Rispetto ad ognuno di questi obiettivi, quanto la visione dello sviluppo socioeconomico che si sta determinando in ogni singola area vasta è da considerarsi inclusiva, condivisa, integrata e sostenibile?


4) Utilità, durata e sostenibilità – Aspetti sociologici

Da un punto di vista “storico-culturale”, le aree vaste e la pianificazione strategica rappresentano anche una importante innovazione nel modo di gestire il territorio per le diverse esigenze che si sono manifestate a seguito delle nuove dinamiche economiche e sociali sul nostro territorio. Nell’ambito del processo di globalizzazione, ad esempio, oltre ogni confine politico, economico e culturale, non sono più soltanto le imprese ad entrare in concorrenza tra loro, nel senso che non si può più ragionare solo nell’ottica di flussi di domanda e di offerta e/o di mercato di beni, servizi e fattori produttivi. Ora, ad entrare in competizione in ambito mondiale, sono anche i territori con le loro comunità, con le loro forme organizzative, con le loro tipicità e peculiarità geografico-ambientali, con le loro istituzioni ed anche con le loro forme culturali. Pertanto, ci si trova di fronte alla necessità di effettuare nuove scelte programmatiche che inderogabilmente dovevano far leva sul superamento delle pure logiche di profitto, di consumo distruttivo, di promozione di cicli di sviluppo chiusi, compartati ed autoreferenziali, e quindi, attraverso l’area vasta si è chiesto al territorio di “fare rete” tra i suoi elementi antropologici, fisici, economici, istituzionali e culturali, di riorganizzarsi e di coordinarsi in funzione dei cambiamenti che stavano avvenendo e quindi di fare “massa critica”, in modo da riuscire a vincere la competizione e ad attivare il confronto con gli altri territori non solo nell’ambito del processo di globalizzazione, ma anche nell’ambito dei processi di internazionalizzazione nell’area del Mediterraneo e nei processi di coesione e di integrazione nell’Unione Europea.

Alla luce di quanto fino ad ora è stato realizzato, con quali strumenti funzioni servizi ed attività è stata attrezzata l’area vasta di vostro riferimento per gestire i processi e le dinamiche economiche, sociali e territoriali, nonché per affrontare le sfide della globalizzazione?


5) Efficacia ed efficienza – Aspetti politici

I consensi più ampi per la Pianificazione Strategica e per le Aree Vaste furono quelli di tipo politico, dal momento che i sottesi processi partecipativi a cui si doveva dar vita avrebbero generato nuovi spazi di democrazia; tutto ciò che era partecipazione, concertazione, cooperazione, inclusione, coesione, cittadinanza attiva, democrazia deliberativa, democrazia partecipativa, interesse pubblico e persino democrazia diretta, divenivano quasi all’improvviso facili, fattibili, possibili ed il relativo dibattito politico si sviluppò proprio nell’ottica di un ampissimo sostegno alla realizzazione, tanto delle Aree Vaste, quanto della Pianificazione strategica. Il nostro Partito, si diede anche il compito di seguire i processi e di partecipare alla progettazione di quel “nostro futuro”, cercando di esprimere da Sinistra le posizioni del cambiamento in atto nella nostra società, mettendo in moto tutte le risorse interne del Partito, con lo scopo di accompagnare questi processi con la costruzione ed il potenziamento del dialogo sociale, che partiva dall’analisi dei territori ed attraverso l’individuazione, prima, e l’intercettazione, poi, dei bisogni potesse sfociare nell’elaborazione di proposte che contengano risoluzioni ai problemi delle comunità e “visioni possibili” e praticabili di futuro, per il conseguimento degli scopi delle rispettive comunità locali.

Alla luce di quanto espresso dai partiti, quanto la progettualità di ogni Area Vasta possa dirsi corrispondente in termini di bisogni individuati, di problemi affrontati e di scopi da conseguire, delle rispettive comunità locali?
Pietro Perrucci

giovedì 29 ottobre 2009

LA VALENZA SCIENTIFICA DELLA STATISTICA

In riferimento all’attendibilità dei dati statistici (da adesso in poi d.s.) e quindi della valenza scientifica della statistica, va rilevato che questa scienza, questa disciplina, questo strumento di ricerca, questo metodo di lavoro, ancora oggi rappresenta quanto di più appropriato ci possa essere per misurare, per rilevare, per elaborare, per interpretare e per rappresentare, i fenomeni oggetto di una qualsiasi osservazione in ambito sociale, economico e della ricerca scientifica in generale.

La principale motivazione di ciò è data dall’importanza dei d.s. in sé, che per la sua capacità di misurare, stimare e qualificare ciò che si sta osservando, viene riconosciuto universalmente valido; di conseguenza, la valenza scientifica della statistica poggia proprio sui d.s. che nel momento stesso in cui vengono rilevati, oltre ad esprimere una certezza di tipo empirico, offrono almeno altri due validi riferimenti scientifici che sono il riferimento temporale, ovvero il momento in cui è stato rilevato, ed il riferimento spaziale, ovvero il contesto, il luogo, in cui i d.s. sono stati rilevati.

Ciò malgrado, però, occorre tener presente che questo doppio riferimento spaziale e temporale dei d.s., nel momento in cui rappresentano il massimo della scientificità, al tempo stesso ne rappresentano anche il loro limite scientifico, e questo per almeno due aspetti:
- il primo, è dato dal fatto che i d.s. per definizione sono fermi, legati, a questo doppio riferimento temporale e spaziale, che li rendono statici rispetto alla quasi totalità dei fenomeni osservati che, per definizione, non sono statici, ma dinamici, evolutivi, e cioè che tendono a muoversi, e quindi a variare, sia nel tempo, sia nello spazio;
- il secondo aspetto, o per meglio dire il secondo limite dei d.s., sta nel fatto che un singolo dato, per effetto della sua caratteristica di staticità contrapposta alla caratteristica della dinamicità e della variabilità dei fenomeni osservati, quasi mai riesce a rappresentare i fenomeni oggetto di osservazione.

Di questi aspetti/limiti ne sono ben consapevoli anche gli stessi studiosi ed esperti di statistica, che tentano di ovviare a questi inconvenienti in diversi modi, e cioè:
- utilizzare più d.s., in maniera da rappresentare al meglio l’evoluzione di un fenomeno, così come accade nelle serie statistiche temporali e spaziali;
- affiancare ai d.s. quantitativi i d.s. qualitativi, anche sotto forma di serie statistiche temporali e spaziali;
- rappresentare i fenomeni oggetto di osservazione attraverso più serie statistiche riferite a più variabili, cioè a più aspetti dello stesso fenomeno, per meglio individuare possibili relazioni di dipendenza, indipendenza ed interdipendenza tra queste variabili, e quindi per scoprire i possibili fattori che determinano un certo andamento o una certa evoluzione dei fenomeni nel tempo e nello spazio.

Un terzo aspetto, ovvero, un terzo limite rappresentato dai d.s. sarebbe l’enorme quantità di dati che servirebbero per analizzare i fenomeni oggetto di osservazione. Di questo aspetto, però, possiamo dire che tale problema appartiene per lo più al passato della statistica, perché oggi, grazie anche allo sviluppo dell’informatica, è possibile ovviare a questo inconveniente, ricorrendo al “data mining”, che è una scienza a metà tra l’informatica e la statistica, che oltre ad offrire una migliore gestione dei d.s. soprattutto in presenza di elevate quantità di dati, consente attraverso la rilevazione automatica e diretta dei dati in un grosso database chiamato datawarehouse, sia un maggior grado di precisione dei d.s., sia la possibilità che tutti i tipi di utenti, anche i non esperti di statistica, possano interrogare questo database ed ottenere non solo i dati statistici ma anche le elaborazioni e le informazioni di cui si può aver bisogno per analizzare e/o studiare un fenomeno.

Ciononostante, però, occorre rilevare che malgrado i progressi dell’informatica e delle ICT i d.s., sono fortemente condizionati nella loro rilevazione, elaborazione, interpretazione e rappresentazione, da fattori culturali come la sensibilità di chi rileva i dati, la sensibilità le conoscenze e le competenze di chi predispone gli strumenti e le metodologie di rilevazione, dalla tipologia degli strumenti scelti soprattutto per la rilevazione e l’elaborazione dei dati, dal background culturale degli operatori, analisti e studiosi, ed infine, dagli scopi e dalle finalità dalle organizzazioni che utilizzano i dati statistici.

Per questo, al fine di rendere universalmente validi i d.s. e la statistica in generale, è necessario non solo che i dati siano rilevati con precisione, che si evidenzi la metodologia di rilevazione, elaborazione, interpretazione e rappresentazione, che vengano posti in relazione con gli obiettivi della ricerca in sé e con gli obiettivi dell’organizzazione che se ne sta servendo, ma è altresì necessario che dati e statistiche vengano divulgati, che vengano discussi, che vengano anche confutati, e che in ultima istanza vengano condivisi da tutti.

Per questo, quindi, oggi la valenza scientifica di dati e statistiche in generale, non dipendono più soltanto dalla loro intrinseca scientificità, ma dipendono sempre più dal fatto che questi siano da tutti riconosciuti come validi a rappresentare un fenomeno.

Pietro Perrucci

mercoledì 28 ottobre 2009

NO ALL'EOLICO ED AL FOTOVOLTAICO SUL PARCO NAZIONALE DELL'ALTA MURGIA

Questa è la lettera consegnata ai rappresentanti della Commissione Biodiversità del Parco dell'Alta Murgia in merito alle posizioni espresse dal sottoscritto e dalle organizzazione da me rappresentate circa la possibilità che nel territorio del Parco potessero sorgere impianti industriali di produzione di energia eolica e fotovoltaica.

Alla c.a. dei rappresentanti dell’Ente Nazionale Parco dell’Alta Murgia

Facendo seguito della richiesta di parere in merito alla possibilità che all’interno dell’area del Parco dell’Alta Murgia possano insediarsi impianti di produzione di energia fotovoltaica ed energia eolica, così come emerso durante l’incontro tra le associazioni e i rappresentanti dell’Ente Parco dell’Alta Murgia del giorno 07 ottobre 2008, il sottoscritto Dr. Pietro Perrucci, la Coop. A.R.E.S., l’Associazione Culturale VIAGRAN ed il Forum Ambientalista, esprimono comunemente la loro contrarietà circa la possibilità che i suddetti impianti possano essere installati nell’area del Parco dell’Alta Murgia, in quanto la loro installazione è contraria alla funzione di salvaguardia ambientale paesaggistica e territoriale dello stesso Ente Parco. Unica eccezione a questo parere contrario viene espressa, altresì comunemente, per i soli impianti ad uso civile di produzione di energia fotovoltaica collocabili sui tetti, a condizione che:
a) la struttura abitativa su cui viene montato l’impianto non abbia alcun valore e/o vincolo storico e/o architettonico;
b) l’impianto non influisca in nessun modo sulla possibilità di nidificazione dell’avifauna;
c) siano collocati solo sui tetti e non nelle pertinenze;
d) sia finalizzato alla produzione di energia per uso civile.

Gravina in Puglia, 4 novembre 2008

Criteri di Valutazione per il Piano Paesaggistico della Regione Puglia

Ho partecipato alla conferenza per la presentazione dell’avanzamento del “Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia” tenutasi ad Altamura il 10 dicembre scorso con l’intento di capire come gli elementi di questo processo di policy vengano tradotti operativamente in termini di pianificazione e di programmazione e debbo dire che, malgrado il notevole ed apprezzabile sforzo per il lavoro che è stato fin qui prodotto, anche in questa esperienza di pianificazione, al pari delle altre che sono in corso nella nostra Regione, vi sono state alcune carenze.

Benché incardinato sui due importanti criteri guida, “organizzazione delle conoscenze” e “formazione del consenso”, tale processo è apparso carente sul piano metodologico soprattutto per la mancanza di apporti geografici e per la mancanza di apporti più specificatamente antropologici alla costruzione del piano, i primi, in grado di individuare ed inquadrare su base territoriale quei processi e quelle dinamiche specifiche del territorio della Regione Puglia, gli altri, in grado di interpretare e qualificare la fenomenologia dell’azione antropica legata a questi processi e a queste dinamiche.

La mancanza di questi due tipi di apporti non è un fatto marginale: benché la geografia e l’antropologia sono considerati strumenti “non indispensabili” per la pianificazione del territorio è un fatto notorio che senza di questi due strumenti non si può disporre di quelle modalità interpretative e previsionali dei processi e delle dinamiche del territorio, per analizzarli in chiave evolutiva.

Per questo è molto forte il timore che il Piano Paesaggistico della Regione Puglia, non potrà offrire quel contributo pieno nella elaborazione degli interventi e delle politiche del territorio dell’ambiente e dello sviluppo socioeconomico in generale.

Questo timore, quindi, porta anche alla necessità di una revisione di tutto il processo di pianificazione, sulla base di quelle che sono le più moderne ed innovative impostazioni dei processi di policy.

Pertanto, in attesa di vedere nella sua interezza la realizzazione di questo Piano Paesaggistico, vi propongo alcuni criteri che possono guidare la formulazione di un giudizio per farne una valutazione criteriata:
a) Attinenza (coerenza degli obiettivi e delle attività, del piano con gli impatti e gli effetti che si attendono)
b) Rilevanza (se le azioni sono coerenti con gli obiettivi)
c) coerenza interna (obiettivi, azioni, risultati e risorse, del processo)
d) coerenza esterna (coerenza rispetto ad altri processi dello stesso enti e coerenza rispetto ad altri processi di altri enti)
e) efficacia (se i risultati consentono di dire che gli obiettivi sono stati raggiunti)
f) efficienza (se i risultati sono coerenti con le risorse impegnate)
g) utilità (i vantaggi e le esternalità apportate)
h) sostenibilità (la durata nel tempo)

Comunicazioni sul Progetto Bibliomurgia

Gentilissimi,

riporto in questo articolo le informazioni che mi avete richiesto in merito al Progetto Bibliomurgia, chiedendovi scusa per non avervi aggiornato per tempo sull’esito di questo Progetto.

Come tutti sapete, l’idea di base su cui poggia il Progetto Bibliomurgia è quella di “creare una rete informatizzata tra tutte le biblioteche situate nei tredici comuni del Parco” (Altamura, Andria, Bitonto, Cassano delle Murge, Corato, Gravina in Puglia, Grumo Appula, Minervino Murge, Poggiorsini, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto), e le finalità e le valenze di questa idea sono le seguenti:
- sociale, consentire l’accesso simultaneo a tutte le biblioteche del Parco, nonché la fruizione e la disponibilità del loro patrimonio bibliografico, archivistico, multimediale e storico;
- culturale, incrementare il bagaglio culturale di ogni utente/cittadino mediante questo accesso simultaneo a quelle che sono una delle fonti primarie del sapere e della conoscenza;
- istituzionale, accrescere la capacità e la visibilità dell’Ente Parco e degli altri Enti Locali per il sostegno che la rete può dare alle loro attività amministrative;
- economica, in una società in cui l’informazione e la comunicazione sono risorse strategiche per l’economia, una rete delle biblioteche può contribuire a generare nuova informazione, nuova comunicazione e quindi, generare nuova ricchezza;
- scientifica, agevolare gli studi e la ricerca e rendere possibile lo scambio e la condivisione delle informazioni e delle esperienze (best practice e/o benchmarking);
- coesione, la rete delle biblioteche del Parco Nazionale dell’Alta Murgia può rafforzare la sua coesione sociale, economica e territoriale, rendendo più condivise e più partecipate le sue politiche di tutela ambientale, di sviluppo sostenibile e di salvaguardia della biodiversità.

Per lo sviluppo del Progetto Bibliomurgia furono previste le seguenti fasi:
I) Analisi di contesto e metodologia di lavoro;
II) Tavolo per la fattibilità (amministrativa, tecnica, operativa, procedurale e finanziaria);
III) Piano e fonti di finanziamento;
IV) Monitoraggio, valutazione e comunicazione.

Questa idea progettuale è stata ulteriormente sviluppata in una relazione di 21 pagine intitolata “PROGETTO BIBLIOMURGIA. Lo stato dell’arte al 31 luglio 2009”, relazione che ho consegnato nella mattinata del 31 agosto 2009 all’Ente Parco Nazionale dell’Alta Murgia, affinché potesse essere discussa per la riunione del Consiglio del Parco dell’11 settembre 2009.

Purtroppo, ciò non è avvenuto e non è avvenuto neanche all’altra riunione del Consiglio del Parco, quella del 15 ottobre scorso, e quindi, come potete capire, più che di una mancanza, il mio ritardo nel darvi le informazioni era dovuto possibilità che da un momento all’altro giungessero informazioni per aggiornarvi sull’esito di questo progetto.

Al momento, quindi, restando in attesa che queste informazioni giungano il prima possibile, l’unica cosa che posso fare è quella di illustrarvi per punti salienti cosa è stato fatto finora per il Progetto Bibliomurgia.

In linea generale, lo sviluppo del Progetto Bibliomurgia si è articolato nei seguenti aspetti:
- L’attuale condizione sulla funzione sociale e culturale delle biblioteche del Parco
- La condizione di autoreferenzialità
- Il completamento delle analisi di contesto
- Il quadro generale degli interventi
- L’individuazione delle fonti di finanziamento
- Il Piano Pluriennale di Attuazione dell’Asse IV, PO FESR 2007-2013 – Regione Puglia
- Le azioni previste per la seconda fase del progetto

Inoltre, sempre in questa relazione di 21 pagine, sono state completate le Analisi di contesto e confermata la Metodologia di lavoro. In riferimento a quest’ultimo aspetto, posso dirvi che la metodologia di lavoro sarà la stessa per tutte le altre fasi del Progetto e questo sia per effetto del consenso ricevuto già in sede di presentazione del Progetto Bibliomurgia (23 maggio 2009), sia perché si è puntato tutto sulla condivisione, intesa come concreta opportunità di partecipazione ed inclusione nello sviluppo di attività legate alla progettualità, e sulla governance, intesa non nel senso italiano della partecipazione degli Enti Locali alla definizione del progetto, ma come insieme di regole che permetteranno alle biblioteche della rete Bibliomurgia di sviluppare processi di partnership, di networking e di cooperazione, a vari livelli.

Per effetto di questi due aspetti del metodo di lavoro è importare ribadire che le biblioteche del Parco incluse nel Progetto Bibliomurgia, non sono considerate soltanto come i beneficiari di questo progetto di rete, ma viene data loro la possibuilità di essere i veri artefici, i veri protagonisti, della stessa progettazione.

Infine, l'ultima importante attività che è stata svolta riguarda la ricerca delle fonti di finanziamento che si sono individuate. Infatti, oltre all’asse IV del PO FESR 2007-2013 della Regione Puglia, si sono individuate anche le risorse del POIN 2007-2013 “Attrattori Culturali, Natura e Turismo” (anche se in questo caso occorre che il Parco faccia pressione per rientrare tra i poli attrattori delle risorse di questo programma interregionale) e le risorse del Piano per il Parco, almeno per finanziare il Progetto Bibliomurgia nella fase iniziale.

Con l’impegno di informarvi presto sugli ulteriori sviluppi di questo progetto, colgo l’occasione di porgervi distinti saluti.

Pietro Perrucci

lunedì 26 ottobre 2009

CRISI ECONOMICA E CREDITO ALLE PMI

Il convegno che si è svolto su questo tema in data 25 ottobre 2009, mi offre l’opportunità per sviluppare una riflessione sulla condizione delle piccole e medie imprese localizzate sul nostro territorio, sul come queste imprese hanno affrontato le sfide imposte dalla globalizzazione, sul come hanno vinto queste sfide e sulla conseguente impossibilità di tradurre questi loro risultati, queste loro performance, in opportunità di sviluppo socioeconomico per il nostro territorio, proprio a causa di una difficoltà nell’accedere al credito d’impresa.
Diverse imprese del nostro territorio hanno affrontato e vinto la competizione e la concorrenza internazionale in mercati esteri in diversi settori, agroalimentare, ICT e meccanica, tuttavia non riescono ad ottenere dalle banche quel credito e quel supporto per trasformare le nostre piccole e medie imprese in leader mondiali nei vari settori in cui operano. Sotto questo aspetto, molto emblematica è risultata essere l’esperienza di un’azienda locale che opera nel settore della meccanica che, per essere riuscita a creare un particolare congegno elettromeccanico nell’ambito dei carrelli elevatori, aveva vinto la concorrenza del leader mondiale in questo particolare settore, al punto che questa azienda leader è stata costretta a licenziare decine e decine di migliaia di dipendenti in tutte le sue sedi sparse nel mondo. Ora, nell’ambito dei processi della globalizzazione è facile attendersi che l’impresa che vince la concorrenza internazionale assorba l’impresa che perde questa sfida, ed invece, nel caso della nostra azienda locale, ciò non è stato possibile perché la piccola dimensione di questa impresa non avrebbe mai potuto accedere ad un volume di credito così elevato, necessario per assorbire questo colosso mondiale.
Morale della favola, le imprese e le aziende bancarie e del credito nel nostro territorio non sono in grado di supportare le piccole e medie imprese nell’affrontare le sfide della globalizzazione e la rabbia dei piccoli e medi imprenditori sta proprio nella loro impossibilità di accedere al credito rispetto alle le grandi imprese che, magari, pur perdendo le sfide poste della globalizzazione e quindi pur essendo inefficienti, hanno più opportunità di accedere al credito per la loro dimensione e la loro maggior visibilità.
A questo controsenso si aggiunge un altro grande controsenso presente all’economia di oggi: l’attuale crisi economica è stata causata da leaders mondiali delle banche e della finanza soprattutto statunitensi, cioè del paese che guida il processo di globalizzazione, e per causa proprio delle multinazionali del credito e della finanza che la crisi è arrivata anche alle imprese degli altri settori economici. Di conseguenza, le imprese piccole e medie imprese si trovano in difficoltà proprio dagli operatori del credito. A questo, si aggiunge ovviamente un’atra considerazione e cioè, mancando concrete possibilità di accesso al credito e dovendo assorbire le conseguenze della crisi, le nostre PMI non si possono espandere, non possono diventare leader mondiali e quindi non possono incidere sullo sviluppo socioeconomico del nostro territorio, in termini crescita del loro fatturato, in termini di aumento del PIL regionale, in termini di creazione dell’indotto e in termini nuova occupazione.
Questi aspetti, quindi, sono sintomatici di una grande distanza che esiste tra il mondo dell’impresa e il mondo della finanza e nonostante i numerosi strumenti che vengono attivati per ridurre questa distanza, oggi ci ritroviamo ancora con pressanti richieste che giungono dalle imprese per richiedere credito finalizzato alla internazionalizzazione delle imprese e quindi per la formazione, per l’uso dei fondi e delle risorse europee, per gli investimenti in R & S, per l’avvio di partenariati internazionali volti soprattutto allo sviluppo di sinergie strategiche, ecc..., e questo quadro evidenzia una carenza culturale che non permette che questi due mondi dell’economia – impresa e finanza – siano vicini ed operino in sinergia. Sotto questo aspetto, neanche la politica sembra riuscire a risolvere questo problema, dal momento che gli interventi che questa mette in atto, non sono quasi mai frutto di un’analisi ragionata dei problemi e di una loro precisa ed obiettiva interpretazione, ma sono quasi sempre interventi che vedono l’esercizio di un potere dei suoi rappresentanti, nel favorire ora l’imprenditore, ora la banca, a seconda del caso. Cosicché, allargando questo discorso in una prospettiva generale, si può dire che a causa della politica, non solo non si predispongono adeguati interventi per facilitare l’accesso delle PMI, ma si opera facendo in modo che non vi sia più un mercato del credito, che non esista più una domanda ed un’offerta del credito e quindi, che non vi sia più una economia del credito.Per questo, forse, sarebbe utile accogliere quella proposta emersa in questa sede, cioè di creare una struttura-osservatorio del credito, che attraverso un monitoraggio continuo di tutte le imprese che operano sul territorio, si elaborino strumenti creditizi ad hoc, per interventi “case by case”, ovvero su misura a seconda dell’azienda che ne fa richiesta e a seconda delle sue particolari esigenze.

mercoledì 21 ottobre 2009

PROGRAMMAZIONE E TERRITORIO PER LA PROVINCIA DI BARI. SCHEMA OPERATIVO

1. Missione/Obiettivo
Elaborare un documento generale integrabile con altri documenti.

2. Metodo
Benché non sia stato ancora discusso in maniera approfondita, al momento il metodo di lavoro più adeguato è quello di partire dai problemi e dalla loro analisi, per poi arrivare ad individuare sul territorio quali sono i principali strumenti di programmazione attivi nella Provincia di Bari, ad individuare quegli elementi di conflittualità e di vertenzialità propri di ogni singolo processo di programmazione, e quindi, fare sintesi comune prima di arrivare a stilare questo documento generale.

3. Le problematiche
In generale, esite un doppio ordine di problemi in merito alla programmazione del territorio della Provincia di Bari. Il primo è dato da quei problemi che da sempre affliggono questo ambito:
- ritardo nello sviluppo socioeconomico rispetto alle altre aree del nostro Paese;
- insufficiente infrastrutturazione;
- degrado ambientale;
- elevato tasso di disoccupazione;
- basso livello della qualità della vita;
- mancato conseguimento degli obiettivi di integrazione e di coesione dell’Unione Europea.
Invece, appartengono al secondo ordine quei problemi che derivano da un uso inefficace degli strumenti di programmazione che sono stati attivati, e cioè:
- il doppio livello della programmazione del territorio, nazionale e regionale;
- inadeguata gestione degli strumenti di programmazione da parte degli enti locali e della politica;
- incapacità di interpretare le dinamiche e le tendenze dei vari processi socioeconomici e territoriali e quindi incapacità di elaborare interventi efficaci;
- mancanza di competenze e di una “cultura del metodo” nella programmazione;
- incapacità della politica di essere efficiente e quindi di andare oltre le logiche di potere e/o di spartizione.

4. Strumenti di programmazione
Al momento, i più importanti di strumenti di programmazione attivi nella Provincia di Bari sono:
- Gli strumenti istituzionali di programmazione territoriale (piani paesaggistici, P.T.C.P., P.R.G. e P.U.G., ecc…);
- i documenti di programmazione strategica delle politiche comunitarie, dei fondi strutturali e delle Iniziative Comunitarie (POR, PO, POIN, GECT, Leader, Interreg, Urban, Equal, Jessica, Jasper, Jeremie, , ecc…);
- l'Area Metropolitana di Bari, la Città Metropolitana, il Patto Metropolitano;
- le Aree Vaste e le Programmazioni Strategiche;
- gli strumenti di programmazione negoziata (Patti Territoriali, Patti Agrari, Contratti d’Area, Agenzie di Sviluppo Locale, ecc…);
- i G.A.L. (Gruppi di Azione Locale);
- i P.I.S. (Piani Integrati Settoriali) e i P.I.T (Piani Integrati Territoriali);
- Zone Franche Urbane;
- le Comunità Montane;
- Agenda 21 Locale
- i Parchi nazionali e regionali (tra cui il Parco Nazionale dell’Alta Murgia);
- le aree protette, S.I.C. (Siti di Interesse Comunitario) e le Z.P.S. (Zone di Protezione Speciali), la Rete Ecologica Natura 2000, ecc…;
- i distretti agricoli, industriali e commerciali;
- i comprensori ed i Sistemi Turistici Locali;
- le autorità di bacino e gli ambiti territoriali ottimali.

lunedì 19 ottobre 2009

STUDI E RICERCHE DI PIETRO PERRUCCI: “PROGETTO DI ORTOTERAPIA”. Progetto per un corso-laboratorio pratico per disabili e altri utenti, da ottimizzare.

STUDI E RICERCHE DI PIETRO PERRUCCI: “PROGETTO DI ORTOTERAPIA”. Progetto per un corso-laboratorio pratico per disabili e altri utenti, da ottimizzare.

“PROGETTO DI ORTOTERAPIA”. Progetto per un corso-laboratorio pratico per disabili e altri utenti, da ottimizzare.


1. Disamina

L’articolazione di questo progetto che ho esaminato, oltre che lunga e prolissa, è fortemente orientata a spiegare in termini generali a cosa serve l’Ortoterapia e pertanto, da un punto di vista più strettamente progettuale, vi sono almeno due aspetti che occorre rivedere: il primo riguarda il metodo e il secondo lo sviluppo del progetto.


2. Revisione

Per quanto riguarda il metodo, si evidenzia che non è stato riscontrato alcun riferimento a quelli che sono gli elementi essenziali di una progettazione che possa definirsi “metodologicamente appropriata”, e cioè:
- il piano della comunicazione interna;
- il masterplan di tutto il processo terapeutico a cui deve riferirsi questo progetto ortoterapico;
- i criteri di scelta delle singole attività orticole e da giardino, in funzione degli obiettivi terapeutici che si vogliono raggiungere;
- il monitoraggio e la valutazione dell’efficacia terapeutica;
- il piano della comunicazione esterna.

Per quanto riguarda lo sviluppo, il progetto va riscritto sulla base di queste indicazioni:
- l’esposizione è troppo lunga, sarebbe opportuna concentrarla in max 5 cartelle;
- attribuire il titolo ed il sottotitolo (ad esempio, titolo del progetto CAMPO DEI MIRACOLI; sottotitolo, LABORATORIO PRATICO DI ORTOGIARDINAGGIO);
- di ortoterapia si può anche parlare in termini generali ma dedicando al massimo 10-15 righe. Invece, bisogna spiegare molto bene quelle che sono le valenze terapeutiche e gli obiettivi terapeutici che si vogliono raggiungere, in funzione di ogni singola pratica culturale;
- oltre all’agronomo, al sociologo ed all’operatore agro-tecnico, mancano nello sviluppo del progetto tre figure essenziali, lo psichiatra, lo psicologo e l’assistente agli utenti/disabili, i quali debbono avere un ruolo attivo nello sviluppo e nella realizzazione del progetto ortoterapico;
- per ognuna di queste figure si devono spiegare ruoli, funzioni e costi;
- il progetto di ortoterapia deve essere adattato in funzione dei bisogni e degli obiettivi terapeutici o sociali dei singoli utenti, a seconda del tipo di disabilità o del tipo di utente;
- manca il budget, i costi di materiali, mezzi, strumenti, attrezzature e personale.


3. Rielaborazione

Si suggerisce, quindi, di rielaborare il progetto partendo proprio dalla formazione di un gruppo di lavoro minimo (psichiatra e/o psicologo, sociologo ed agronomo), per svilupparlo in maniera condivisa, secondo queste cinque linee operative:
1) individuazione delle pratiche culturali orticole e da giardino che si possono effettuare:
COLTURA/ATTIVITÀ RICHIESTE/STAGIONE IDEALE/ATTREZZATURE/COSTI;
2) definizione della valenza terapeutica di questo corso-laboratorio di ortoterapia:
BISOGNI/OBIETTIVI/TIPOLOGIA DI UTENTE/MONITORAGGIO/VALUTAZIONE/EFFICACIA
3) articolazione degli obiettivi terapeutici attesi e valutazione dei risultati ottenuti:
COLTURA/ASPETTI COGNITIVI/FISICO-MOTORI/COMPORTAMENTALI/DIDATTICI/GIUDIZIO
4) profili professionali richiesti:
COLTURA/MANSIONI ASSISTENTI/MANSIONI TECNICI AGRARI/ORE DI LAVORO/COSTI
5) gestione del progetto e sostenibilità nel tempo dei risultati:
INDICAZIONI DI METODO/RUOLO E MANSIONI DEGLI OPERATORI/BUDGET

sabato 11 aprile 2009

IL FALLIMENTO DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA IN PUGLIA

Il fallimento in Puglia dell’esperienza di Pianificazione Strategica collegata alla realizzazione delle 9 Aree Vaste può essere valutato almeno su due piani: quello della mancanza di una cultura e di una formazione adeguata di coloro che hanno preso parte a qualsiasi titolo alla realizzazione di questa esperienza (consulenti, politici, tecnici, burocrati, ecc…) e quello del mancato rispetto delle “Linee Guida” elaborate dal Nucleo di Valutazione (NVVIP) della Regione Puglia.

Questa esperienza di pianificazione strategica e di realizzazione delle aree vaste si sarebbe dovuta inquadrare in quel cambiamento culturale che sta interessando da oltre un decennio i cosiddetti paesi a democrazia matura, laddove sono attualissimi “la partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni di cittadini alla definizione delle politiche pubbliche, l’uso di strumenti di democrazia deliberativa e partecipativa (governance, partnership, networking, valutazione, inclusione, policy making e policy analysis, le iniziative autonome degli stessi cittadini nel quadro soprattutto dei processi di policy making e di policy analysis, town meeting, deliberation days, le arene deliberative, info days, forum, sondaggi deliberativi, l’uso di strumenti informatici di e-democracy, gli incontri di quartiere, le passeggiate di quartiere, ecc…) e l’uso di strumenti di democrazia diretta, ovvero, processi istituzionali nei quali i cittadini, in quanto popolo sovrano, non sono soltanto degli elettori che delegano il proprio potere politico ai loro rappresentanti (democrazia rappresentativa), ma sono anche dei legislatori aventi il diritto, talvolta costituzionalmente garantito, di proporre e votare direttamente le leggi ordinarie e la Costituzione e di esercitare forme di controllo su organi di governo, istituzioni, pubbliche amministrazioni (democrazia diretta), attraverso diversi istituti di consultazione popolare (democrazia deliberativa) e di partecipazione (democrazia partecipativa).

Nel nostro contesto, mancando il riferimento a questo quadro culturale, il tentativo di realizzazione le Aree Vaste attraverso la pianificazione strategica ha manifestato molteplici aspetti negativi:


1) PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI INVECE DI PROCESSI DI POLICY

Le Linee Guida della Regione Puglia sulla realizzazione delle 9 Aree Vaste prevedevano un percorso articolato che esternava più le caratteristiche di un procedimento amministrativo (iniziativa, istruttoria, decisione, integrazione) che non un vero e proprio processo di policy (partecipazione, agenda, strutturazione dei problemi, soluzioni, previsioni, adozioni, raccomandazioni, implementazioni, monitoraggio, valutazione giudizio, riadattamento, rimodulazione degli obiettivi, piano della comunicazione).


2) LA CONFUSIONE TRA OBIETTIVO, STRUMENTO, PROCESSO E METODO

Della grave lacuna culturale, il riflesso più evidente è stato il fatto che, tanto nelle Linee Guida, quanto nell’operato degli organi regionali e locali, non hanno saputo specificare i 4 elementi di questo processo, e cioè:
a) l’obiettivo “migliorare la gestione e la realizzazione dei processi di governance”, come indicato nella misura 5.1 del POR Puglia 2000-2006;
b) lo strumento “le 9 Aree Vaste in cui è stato suddiviso il territorio della Regione Puglia”;
c) il processo di policy “l’articolazione dei due cicli di Policy Making e di Policy Analysis”;
d) il metodo “la pianificazione strategica”.


3) UN APPROCCIO TOP-DOWN INVECE DI UN APPROCCIO BOTTOM-UP

Nella realizzazione delle Aree Vaste, il metodo della “pianificazione strategica”, presupponeva due criteri:
1) il criterio strategico, ovvero il disegno e/o l’elaborazione di interventi in funzione degli obiettivi precedentemente individuati;
2) la partecipazione “dal basso”, “attiva”, di tipo “bottom-up”, da parte delle comunità di riferimento in tutte le fasi del processo.
Invece, nella realtà dei fatti è accaduto proprio il contrario, e cioè si è messa in atto una forma di pianificazione di tipo classico, “imposta dall’alto”, dalla Regione ai comuni e dai comuni alle comunità di riferimento, che ha relegato i cittadini a svolgere, tutt’al più, una “partecipazione passiva” e a mettere in atto un approccio allo sviluppo di tipo “top-down”, tipico delle programmazioni di tipo “centralistico” che fino agli anni ’90 partivano dal governo nazionale e si diffondevano alle regioni ed agli enti locali.


4) MANCATO CONSEGUIMENTO DEGLI OBIETTIVI DELL’UNIONE EUROPEA

Dal momento che lo scopo della realizzazione delle aree vaste col metodo della pianificazione strategica doveva essere quello di realizzare i cosiddetti “processi di governance”, (governing without government), non essendosi realizzate nei fatti le Aree Vaste, è stata gravemente pregiudicata per la programmazione dei fondi strutturali in corso (2007-2013) la possibilità di conseguire gli obiettivi della politica dell’Unione Europea (strategia di Goteborg sulla sostenibilità e la strategia di Lisbona sulla piena occupazione), ed il mancato conseguimento di questi obiettivi non consentirà, a sua volta, neanche il completamento del processo di integrazione europea e l’attuazione delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale.


5) MINORI OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO

Ancora una volta, la rigidità, la centralità e soprattutto l’incapacità della burocrazia regionale, non ha consentito che sul territorio della nostra regione si creassero quelle premesse, quegli strumenti e quelle condizioni fondamentali per utilizzare al meglio i fondi strutturali in funzione dei bisogni e delle esigenze de territorio pugliese. In tal modo, l’utilizzo dei fondi comunitari, anche per la pianificazione strategica delle aree vaste, vedrà con ogni probabilità il ripetersi di quella tristissima storia del ritorno delle risorse comunitarie a Bruxelles.


6) DEFICIT DI DEMOCRAZIA

La pianificazione strategica “… è un metodo gestionale che serve per sviluppare tutte le attività inerenti quei processi di policy quali sono le politiche, i piani, i programmi, i progetti e qualsiasi altra forma di intervento, azione, misura, strategia, ecc…”. Perciò, sul piano operativo, la pianificazione strategica implica l’applicazione di ulteriori processi di democrazia deliberativa e di democrazia partecipativa, ovvero processi che realizzano praticamente inclusione, condivisione e coesione. Ora, mancando di fatto le aree vaste, si comprende bene che per molti anni ancora non saranno parte del nostro modo di fare sviluppo i nuovi strumenti di democrazia deliberativa e partecipativa, e quindi quel deficit di democrazia ereditato dai precedenti governi regionali di centro-destra, anziché ridursi, continuerà ad ampliarsi.

Alla mancanza di una cultura e di una formazione ad hoc, si aggiunge il fatto che le stesse Linee Guida non sono state rispettate soprattutto nei seguenti aspetti:

1) il principio della piena coerenza programmatica tra il livello della Pianificazione Strategica ed il livello della programmazione comunitaria (strategie di Lisbona e di Goteborg), nazionale (Quadro Strategico Nazionale, Fondo Aree Sottoutilizzate e rispettivi Accordi di Programma Quadro sottoscritti con la Regione Puglia), regionale (Documento Strategico Regionale, Programmi Operativi della programmazione 2007-2013, programmazione di livello settoriale e regionale) e provinciale (soprattutto con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale);

2) il piano ed il meccanismo di raccolta dei dati finanziari, strumento idoneo ad assicurare la disponibilità dei dati nel tempo per l’attività di monitoraggio, legata (così come riportato nelle LL.GG) all’applicazione ed al rispetto del principio di addizionalità delle risorse nazionali a quelle comunitarie;

3) il principio dell’integrazione finanziaria, che oltre a riproporre la necessità di un sistema di monitoraggio, è fondamentale per determinare il fabbisogno finanziario dei Piani Strategici e determinarne il successivo raccordo tra risorse comunitarie e risorse nazionali;

4) la realizzazione di quella massima forma possibile di sistema e di sinergia con le politiche di sviluppo locali, regionali, nazionali e comunitarie;

5) la “territorializzazione” delle prospettive di sviluppo economico e sociale per proiettarle verso le dimensioni economico-territoriali regionali e sovraregionali;

6) l’allineamento delle proposte progettuali del Piano Strategico con i documenti di programmazione regionali, ovvero con il Documento Strategico Regionale, Programmi Operativi della programmazione 2007-2013, nonché con tutti gli altri strumenti di pianificazione;

7) il ruolo della cooperazione interistituzionale e del partenariato economico e sociale, che dovevano essere strumenti operativi fondamentali da implementare anche nelle fasi successive alla pianificazione, ovvero nella traduzione in obiettivi e strumenti dell’attività di programmazione, attuazione, sorveglianza e valutazione, per poter contribuire alla cosiddetta “visione condivisa”;

8) il metodo del “tavolo di concertazione”, quale metodo di coinvolgimento del partenariato economico e sociale, che doveva essere “istituzionalizzato”;

9) la partecipazione, (partnership pubblico private, attività di animazione, indagini sociali, manifestazioni di interesse, ecc…),

10) il canale di e-democracy, strumento informatico innovativo attraverso cui attuare espressamente la partecipazione, la progettazione, la costruzione della visione comune e condivisa, l’emersione e la definizione dei problemi d’area da parte degli attori, l’individuazione delle soluzioni alternative, la definizione delle soluzioni praticabili ed infine, l’attuazione, l’implementazione, la gestione e il monitoraggio, delle valutazioni strategiche.


Bari, 09 aprile 2009

Pietro Perrucci

lunedì 30 marzo 2009

La svolta salernitana: commento al libro "Un'altra Italia"

Carissimo Felice,

ho letto il libro di Vincenzo De Luca “Un’altra Italia, tra vecchie burocrazie e nuove città” (Ed. Laterza, Bari, 1999) e concordo pienamente con te: si tratta, infatti, di un libro interessante, scorrevole e dalla notevole esperienza letteraria, che finisce per esaltare anche l’esperienza storica della svolta politica sociale ed urbana della città di Salerno, in quanto rende giustizia a questo Sud sempre bistrattato e quasi mai considerato nelle sue eccellenze territoriali.

Tuttavia, mentre leggevo “cosa” è accaduto in questa citttà, non ho trovato nulla, o quasi nulla, sul “come” sia stato possibile generare questo cambiamento.

Pertanto, per chi come me si occupa anche della “trasferibilità delle esperienze di buon governo” (best practice) da certi contesti ad altri contesti, non è possibile definire in maniera oggettiva l’entità e la qualità di questo cambiamento.

In altre parole, voglio dire che un libro del genere, che racconta di una esaltante quanto unica esperienza politico-amministrativa, avrebbe dovuto prevedere accanto ad una parte “descrittivo-narrativa”, anche una parte “metodologica” che spiegasse quali fattori, quali strumenti e soprattutto quali elementi culturali, hanno reso possibile un cambiamento del genere, in modo da poter riconoscere nell’esperienza salernitana, la migliore delle esperienze possibili (benchmarking).

Per essere più preciso, credo che sarebbe stato utile monitorare e valutare la “svolta salernitana”, attraverso strumenti (tool) come quello della "Most Significant Change Technique", ovvero uno strumento che è al tempo stesso una "tecnica di monitoraggio", una "tecnica di valutazione" e uno "strumento di governo del cambiamento", che si basa sulla rilevazione periodica qualitativa e quantitativa del cambiamento, che fa riferimento a parametri o indici economici, sociali, demografici e territoriali, che consente anche di osservare costantemente il cambiamento sotto molteplici punti di vista.

Ad ogni modo, dai pochissimi riferimenti che si possono utilizzare per un'analisi, ritengo che possano considerarsi peculiari fattori di cambiamento della realtà salernitana i seguenti elementi:
a) l'esistenza di una forte volontà di cambiamento, anche se non si capisce quanto consapevole e quanto emotiva sia stata questa volontà di cambiare da parte della classe politica;
b) il governare la città coinvolgendo le alte amministrazioni dello Stato, Ministero del Lavoro, della Giustizia, dell’Interno, il C.I.P.E., il C.N.E.L., ecc…;
c) il clima di favorevole collaborazione interistituzionale, che ha anticipato di qualche anno sul piano nazionale l’introduzione di quell’approccio di “programmazione dal basso”, che portò all’introduzione delle Intese Istituzionali di Programma, degli Accordi di Programma, delle Partnership Pubblico-Private, ecc…;
d) la valenza strategica della trasformazione urbana finalizzata allo sviluppo del turismo, che introdusse una importante innovazione di metodo (strategico, appunto), rispetto ad una precedente pianificazione che, in quanto calata dall’alto, rispondeva più al legame affari-politica che non ai problemi reali della città.

Invece, non posso considerare come positivo fattore di cambiamento tutti quei interventi sulla burocrazia e sulla macchina amministrativa comunale, sia perché lo stesso autore riconosce di non essere riuscito a risolvere tutti i problemi esistenti in questo ambito, sia perché mi è davvero difficile accettare l’idea che sarebbe bastato far roteare 12 dei 13 funzionari comunali per spezzare quella serie di molteplici inefficienze (ivi compresi gli atti di corruzione e di concussione).

In conclusione, quindi, senza nulla togliere al cambiamento di Salerno, da un punto di vista operativo mi è tecnicamente difficile qualificare questa esperienza come un benchmarking, in quanto non è possibile utilizzare alcun parametro o indice oggettivo di valutazione. Peccato.

Grazie ancora per aver reso possibile questa lettura.

Con amicizia, Pietro Perrucci

ll senso della partecipazione

Con la partecipazione si realizza un livello di democrazia maggiore rispetto al sistema della rappresentanza (democrazia rappresentativa) e la spiegazione di ciò sta nelle seguenti motivazioni:
a) realizza un maggior senso civico;
b) permette di conseguire decisioni condivise;
c) realizza la più ampia inclusione possibile;
d) conferisce maggiore legittimità alle decisioni;
e) conferisce maggiore legittimità alle istituzioni ed ai cittadini singoli ed associati;
f) da maggiori possibilità di successo alle politiche, ai programmi, ai piani ed ai progetti;
g) consente di conseguire decisioni migliori;
h) consente di conseguire il passaggio dalla "politica" alla "policy".

Questa potrebbe essere la sintesi della lettura di Lewanski R. "LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA", in Aggiornamenti Sociali, 2007, pp.743-754.

Pietro Perrucci

mercoledì 25 marzo 2009

La Cittadinanza Attiva

Nel disegnare per i bandi P.O.N. Scuola un percorso didattico sul grande tema della “cittadinanza attiva” ho avuto modo di scoprire che in Italia, non esiste un concetto univoco di “cittadinanza attiva” e pertanto a questa tematica vengono attribuiti molteplici significati, nessuno dei quali, a mio modo di vedere, rispecchierebbe pienamente quanto attribuito in altri paesi.

Si va dall’attivismo civico, all’impegno nei vari ambiti dell’associazionismo e del volontariato; dalla promozione dei diritti dei cittadini, alla tutela dei consumatori; dalla espressione delle sensibilità per l’ambiente, alla difesa di valori socialmente e culturalmente condivisi. Rientra in questa molteplicità di significati anche la cosiddetta “cittadinanza d’impresa”, ovvero la consapevolezza dell'importanza del ruolo che questi rivestono nella società, per via delle implicazioni che la stessa impresa ha con l’ambiente, con la sostenibilità, con l’ecologia, con il territorio, con lo sviluppo sostenibile.

Inoltre, nel nostro ambito nazionale, hanno avuto un peso non indifferente nel costruire il significato di “cittadinanza attiva” tutte quelle riforme della Pubblica Amministrazione che vanno dall’introduzione del diritto di accesso e di trasparenza negli atti amministrativi, alla accresciuta tutela e considerazione delle posizioni giuridiche soggettive attive, ovvero il diritto soggettivo, l’interesse legittimo, l’interesse collettivo, gli interessi diffusi, l’aspettativa legittima, la potestà, l’interesse semplice e l’interesse di fatto.

All’estero, invece, il concetto di “cittadinanza attiva”, fa riferimento ad altri elementi e pur essendo un concetto che cambia sensibilmente a causa dei molteplici contesti socio-politici, in linea generale è possibile scorgere due grandi concetti di “cittadinanza attiva”: quello dei paesi in via di sviluppo e quello dei paesi già sviluppati.

Nei paesi in via di sviluppo, così come nelle organizzazioni internazionali “governative” e “non governative”, per “cittadinanza attiva” si intende il “processo di costruzione della democrazia”, cioè la formazione dei partiti politici, la definizione dei sistemi elettorali, la costruzione delle costituzioni, le pari opportunità, la valutazione dei processi democratici da parte dei cittadini, lo sviluppo e la redistribuzione della ricchezza ed infine, un grande dibattito su quei elementi giuridico-istituzionali che andranno poi a sostanziare la democrazia in un determinato socio-politico (i diritti umani, le libertà civili, l’uguaglianza, il principio di maggioranza e rispetto delle minoranze, la suddivisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, la partecipazione, le tutele, la risoluzione pacifica delle controversie internazionali, ecc...).

Negli altri paesi esteri, quelli sviluppati (detti anche paesi ad economia matura, oppure paesi a democrazia matura), il concetto di “cittadinanza attiva” significa “partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni di cittadini alla definizione delle politiche pubbliche” e “democrazia diretta”.

La partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni di cittadini alla definizione delle politiche pubbliche si attiva attraverso i cosiddetti processi (e/o strumenti) di “governance, partnership, networking, valutazione, inclusione, policy making e policy analysis”, che sono promossi nel 90% dei casi dai governi, dalle istituzioni e dalla Pubblica Amministrazione a vari livelli di governo (locale, regionale, nazionale e sovranazionale). Rientrano nella partecipazione dei cittadini alla definizione delle politiche pubbliche anche le “iniziative autonome degli stessi cittadini”, nel quadro soprattutto dei processi di policy making e di policy analysis, che così consentono di superare quella visione in base alla quale la partecipazione democratica è vista come una “concessione” di una parte del potere da parte di singoli governi e/o delle singole istituzioni, ai cittadini.

La partecipazione, perciò, si attua attraverso il ricorso a strumenti di democrazia deliberativa (town meeting, deliberation days, le arene deliberative, info days, forum, sondaggi deliberativi, giurie popolari, l’uso di strumenti informatici di e-democracy, gli incontri di quartiere, le passeggiate di quartiere, ecc…) e attraverso un ampio dibattito nel quale sono affrontate di questioni come la rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni dei cittadini in rapporto con i governi, l’implementazione delle decisioni dei cittadini e delle risorse pubbliche, ed infine, le questioni di ricerca teorica e applicata sulla evoluzione delle democrazie rappresentative in democrazie dirette, sulle attività di “formazione alla cultura della partecipazione” e sul supporto alle pubbliche amministrazioni da parte delle organizzazioni dei cittadini.

All’estero, poi, la partecipazione dei cittadini alla formazione delle politiche pubbliche ha portato anche allo sviluppo di un altro grande tema, parallelo a quello della “cittadinanza attiva”, che è quello della “governance”. Questo termine, secondo l’efficace definizione anglosassone “governing without government”, vuole intendere l’esercizio, l’atto, di governare senza il potere pieno ed esclusivo dei vari governi locali, regionali, nazionali e sovranazionali, e quindi, con la partecipazione dei cittadini.

Per quanto riguarda invece l’uso degli strumenti di democrazia diretta, occorre dire che questi si concretizzano in processi istituzionali nei quali i cittadini, in quanto popolo sovrano, non sono soltanto degli elettori che delegano il proprio potere politico ai loro rappresentanti (democrazia rappresentativa), ma sono anche dei legislatori, aventi il diritto, talvolta costituzionalmente garantito, di proporre e votare direttamente le leggi ordinarie e la Costituzione (democrazia diretta), attraverso diversi istituti di consultazione popolare (democrazia deliberativa) e di partecipazione (democrazia partecipativa).

Tra gli strumenti di democrazia diretta vi è anche il controllo dell’attività esecutiva degli organi centrali e periferici del governo e della Pubblica Amministrazione. Quest’attività fa in modo che le politiche pubbliche si indirizzino non tanto nel conseguimento di obiettivi di tipo “politico-ideologico”, quanto nel conseguimento di obiettivi di tipo “politico-sociale” ed in funzione di ciò, “oggetto delle politiche pubbliche sono gli stessi problemi della società che vengono elevati ad obiettivi delle varie politiche pubbliche”.

Si spiega così il perché in altri paesi, più che di “politics”, cioè di politica intesa come espressione di un potere, di una imposizione dell’alto, si preferisce usare il termine di “policy”, (economic policy, social policy, environmental policy, ecc…) il cui significato implicherebbe dunque,
- un concetto politica quale attività direttamente rivolta al conseguimento di obiettivi concreti e reali;
- un approccio metodologico molto più ampiamente pragmatico;
- la partecipazione dal basso;
- l’inclusione;
- la condivisione;
- la valutazione;
- la comunicazione.

Alla luce di quanto evidenziato all’estero, si può sostenere, dunque, che in Italia la tematica della “cittadinanza attiva” è sostanzialmente ancora molto lontana da questo quadro concettuale. Una lontananza che è notevole rispetto agli strumenti della democrazia diretta, ma che tuttavia si riduce intorno all’altro elemento sostanziale, che è quello della partecipazione.

Infatti, le riforme della Pubblica Amministrazione, cui si è fatto cenno prima, hanno portato ad un qualcosa che si avvicina alla partecipazione, e cioè ad un “modello concordato di gestione dell’interesse pubblico nella Pubblica Amministrazione”. In altre parole, la nostra Pubblica Amministrazione svolgerebbe la sua funzione di organo del potere esecutivo in armonia con le aspettative e gli interessi dei singoli soggetti privati e della loro collettività e quindi la “cittadinanza attiva”, in Italia, comprenderebbe proprio la regolamentazione del diritto di partecipazione, del diritto di accesso, della trasparenza, della tutela della privacy, l’attività dei difensori civici e la più antica tutela delle posizioni giuridiche soggettive.

Di conseguenza, per “cittadinanza attiva” sarebbe giusto considerare anche quella serie di attività come l’attivismo civico, l’impegno nei vari ambiti dell’associazionismo e del volontariato, la promozione e tutela dei diritti dei cittadini, la promozione e tutela dei consumatori, la tutela ambientale, la difesa di valori sociali, la cittadinanza d’impresa e, per molti, anche l’attività dei sindacati, considerate tutte molto affini, o addirittura consequenziali, con quel modello concordato di gestione dell’interesse pubblico da parte della Pubblica Amministrazione.

Ovviamente, da un punto di vista giuridico, politico e soprattutto sociologico, siamo ancora molto lontani da una partecipazione che si realizza in pieno con i processi di “governance, partnership, networking, valutazione, inclusione, policy making e policy analysis”, con le iniziative autonome dei cittadini, con l’applicazione della governance e della sua filosofia del “governing without government”, e con l’uso degli strumenti di democrazia deliberativa, così come non è ancora possibile considerare come parte integrante del concetto di “cittadinanza attiva” gli strumenti di democrazia diretta, anche se nella nostra Costituzione sono previsti due strumenti di democrazia diretta: il referendum, (art. 75) e l’iniziativa popolare, (art. 71).

Ciononostante, però, dall’insieme dell’ordinamento giuridico vigente in Italia, a me pare di poter scorgere un maggior riconoscimento di quel concetto “estero” di “cittadinanza attiva” e perciò è possibile intravedere una sorta di una disciplina della partecipazione nella definizione delle politiche pubbliche, e questo non solo in base agli artt. Cost. 24, 97, 103 e 113, che ispirerebbero la disciplina del “diritto di partecipazione”, delle situazioni giuridiche soggettive e di quel modello concordato tra attività della Pubblica Amministrazione e gli interessi dei singoli cittadini, quanto soprattutto in base al dettato dell’art. 118 della Costituzione, che così recita:

"Stato, regioni, province, città metropolitane, comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà".

Credo, quindi, che in questo articolo della Costituzione possa trovare fondamento giuridico quella libertà dei cittadini, singoli ed organizzati, nel prendere parte alle attività che si legano al disegno, alla programmazione, alla pianificazione, alla progettazione, al monitoraggio, alla implementazione, alla rendicontazione, alla partecipazione dal basso, all’inclusione, alla condivisione, alla valutazione, alla comunicazione.

A sostegno di questa tesi, vi è tutta quella serie di attività che si svolgono già da diversi anni e che sono legate all’uso di fondi politiche e programmi dell’Unione Europea, ai programmi di cooperazione internazionale in cui è presente l’Italia, alla disciplina della V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica), che prevede espressamente la partecipazione dei cittadini alla formulazione di piani progetti e programmi per l’ambiente, ai bilanci partecipativi, alla vasta gamma dei progetti integrati, al metodo della programmazione negoziata e concertata, ai piani strategici e quindi a tutti gli altri processi di “policy” che includono un minimo di partecipazione dal basso e che va oltre e/o al di fuori della partecipazione politica.



Pietro Perrucci

lunedì 9 marzo 2009

Mutamento di senso e di significato nell'uso dei più tradizionali strumenti di governo locale

La letteratura sociologica dedica ampissimo spazio ai molteplici strumenti innovativi di governo locale (e non solo), quali sono le metodologie di policy making e policy analysis, la governance, la partnership, il networking, i piani della comunicazione interna ed esterna, le tecniche di valutazione e di monitoraggio, la cittadinanza attiva, la democrazia deliberativa, la democrazia diretta, fino ad arrivare all’empowerment. Al tempo stesso, però, la medesima letteratura trascura di considerare come sono cambiati il senso ed il significato dei più tradizionali strumenti di governo, ovvero la “politica”, il “piano”, il “programma” e il “progetto”, per via della crescente partecipazione di nuovi soggetti, quali semplici cittadini, associazioni, portatori di interessi, gruppi di pressione, ecc…
L’importanza di questo cambiamento è stata tale al punto che il termine “iter” è stato sostituito dal termine “processo”, laddove il primo indicava per la realizzazione di ognuno di quei strumenti tradizionali di governo, la più diretta espressione di un potere di supremazia, di imperio, di sovranità, di autorità, ecc…, da parte di istituzioni dello Stato, organi della Pubblica Amministrazione, burocrati ed anche partiti politici, mentre il secondo sta ad indicare quella maggior connotazione metodologica, fenomenologia, sociologica e soprattutto democratico-partecipativa di quei nuovi soggetti nella realizzazione di quei tradizionali strumenti di governo locale.
Di conseguenza, il più tradizionale strumento di governo locale, ovvero la politica, non è stato più inteso come attività prettamente giuridico-istituzionale, ed ha assunto, invece, le caratteristiche di un’attività di “policy”, cioè di un’attività che, come nella sua accezione anglofona, tende sempre meno ad essere legata alla espressione di una qualche forma di potere, e sempre più ad essere identificata quale “attività pragmaticamente protesa all’intervento in specifici ambiti della società, per la soluzione di problemi, per il conseguimento di obiettivi e per il raggiungimento di determinati scopi istituzionali”.
Per quanto riguarda la programmazione si deve evidenziare che questo strumento è divenuto sempre più il frutto della compartecipazione di più soggetti, nel senso che alla sua definizione possono concorrere, oltre agli organi dello Stato, anche espressioni del mondo economico, del mondo sociale, degli enti locali, di organizzazioni internazionali e di semplici cittadini, singoli ed associati, ecc... Ecco perché quando si parla di programmazione, si intende un’attività che è e deve essere necessariamente intesa quale attività “negoziata, concertata, condivisa ed inclusiva”. La pianificazione, che già prevedeva la traduzione operativa e concreta dell’esercizio di un potere, in interventi operativi, azioni, strategie, ecc..., ha acquisito con la partecipazione un notevole sviluppo metodologico, e questo sia nel senso di rafforzare la sua propensione ad essere strumento esplicitamente votato al conseguimento di specifici obiettivi, sia nel senso dell’acquisizione preventiva del consenso rispetto alla fase di elaborazione. Si può dire, dunque, che la pianificazione, per il fatto di essere oggi ampiamente aperta ed estesa alla comunità cui essa fa riferimento, è più che mai strategica, proprio perché è più direttamente ed efficacemente rivolta al conseguimento di obiettivi reali, concreti, tangibili, misurabili, condivisi, in funzione dei quali si predispongono le misure, le azioni e gli interventi.
Inoltre, nell’ambito della progettazione, la partecipazione ha fatto sì che vi fosse una più bassa rigidità metodologica ed operativa di questo strumento e quindi una sua maggiore flessibilità. Per questo, quando oggi si usa il termine progettazione (soprattutto nell’ambito della “europrogettazione”) si intende una “progettazione che deve essere necessariamente integrata”, sia per quella sua quella caratteristica di maggior adattamento contestuale, tematico ed intersettoriale (integrazione orizzontale) e sia per quella caratteristica di maggior coordinamento tra i vari livelli di governo territoriale che sono parte della progettazione (integrazione verticale).
Pertanto, in funzione di questi cambiamenti possiamo dire di aver visto nell'ambito dei tradizionali strumenti di governo locale,
a) la politica trasformarsi in attività di policy,
b) la programmazione in attività negoziata concertata condivisa ed inclusiva,
c) la pianificazione in attività strategica,
d) la progettazione in attività ad integrazione orizzontale e verticale.

Pietro Perrucci