mercoledì 12 gennaio 2011

La Pianificazione Strategica. 2. Gli elementi chiave

Le quattro definizioni a cui si è fatto col precedente articolo sulla pianificazione strategica, racchiudono da un punto di vista teorico tutti gli elementi utili a definire questo strumento di sviluppo e benché si possa essere d’accordo con quanti sostengono che per giungere a una più attuale e condivisa definizione di pianificazione strategica si deve tener conto di quanto altro è stato fatto finora soprattutto in termini implementazione delle esperienze, ritengo tuttavia che dalle quattro definizioni in precedenza accennate è possibile ricavarne numerosi elementi chiave che oggi fanno parte del concetto di pianificazione strategica universalmente conosciuto.

In quanto strumento caratterizzante delle "politiche volontaristiche", intese queste come espressione della capacità da parte di singole aree territoriali (in particolare città e province) di lanciare politiche e sviluppare strategie, la pianificazione strategica svolge un ruolo di "sistema decisionale", con cui, oltre a prendere decisioni, se ne dà anche attuazione, svolgendo per questo anche una funzione socio-istituzionale e cioè quella di sopperire ai deficit di rappresentanza e quella di alleviare il sovraccarico di attività dei governi locali.

La pianificazione strategica, quindi, è oggi intesa innanzitutto come "forum di partecipazione e di rappresentazione degli interessi locali" e come "forma di organizzazione del governo locale per il coordinamento delle azioni dei vari attori locali e la loro interazione". "La sua missione principale è la ricerca di una maggior coesione dei cittadini e dei loro interessi, con il fine ultimo di costruire consenso su determinate strategie e politiche di sviluppo", mentre il suo compito è l’istituzione di una "rete interna" di attori locali e lo sviluppo di una "rete esterna" di relazioni formali ed informali.

Quindi tra gli elementi chiave della pianificazione strategica vi è "la pluralità dei soggetti pubblici e privati e la complessità dei loro rapporti". Il pianificatore diviene animatore locale che fa il massimo uso dell’intelligenza con la quale i diversi attori perseguono i propri obiettivi (piuttosto che sostituirvisi), svolgendo un ruolo di messa in rete, di indirizzo, di sostegno e di facilitazione dei processi "virtuosi", piuttosto che quello di controllo e guida di tutti i processi.

Ma la pianificazione strategica è soprattutto "uno strumento con il quale si creano le condizioni per il successo delle politiche locali"; grazie alle reti di attori, essa consente la definizione di una visione globale dei problemi locali e delle eventuali proposte risolutive, in una logica di piena trasparenza, ed in genere giunge all’elaborazione di un documento, il piano che pur essendo solo un atto parziale, è sempre il risultato di un processo di interazione, rivolto proprio alla creazione del consenso, alla definizione e alla realizzazione delle strategie di sviluppo locale.

In funzione di ciò, la pianificazione strategica è uno strumento finalizzato:

- alla formazione del consenso su obiettivi strategici;

- alla definizione di una visione strategica dell’area di riferimento attraverso processi di analisi dei problemi, monitoraggio dei risultati, apprendimento collettivo.

Tra le connotazioni operative di questo approccio vanno segnalate:

- il carattere multisettoriale (e non solo territoriale) della pianificazione (a prescindere dal fatto che questa poi si traduca anche in atti di natura urbanistica);

- la natura di medio-lungo periodo degli scenari;

- la necessità di tener conto dei diversi attori locali e nazionali mediante il loro coinvolgimento già nella fase di definizione di piano, sia per quanto riguarda l’individuazione delle linee guida generali che delle singole azioni specifiche;

- la logica reticolare che deve governare il cambiamento, sia per quanto riguarda gli attori coinvolti che l’ambito territoriale di riferimento;

- la necessità di risolvere innumerevoli conflitti nella fase di attuazione del piano e quindi l’esigenza di avere adeguati strumenti di cooperazione e di incentivazione;

- la necessità di operare scelte e di prendere decisioni tenendo conto delle capacità finanziarie, umane e organizzative, in base a processi di natura negoziale nei confronti dei diversi attori pubblici e privati e non in base a criteri di ottimizzazione/razionalizzazione di tipo aziendale;

- la sequenza non necessariamente unidirezionale di specifiche azioni territoriali tra vison e progetti, anzi alcuni casi è possibile prevedere un percorso inverso rispetto all’ordine logico e strategico che prevede in un secondo momento la ricostruzione della vision, delle strategie e degli obiettivi programmatici che contengono e giustificano i progetti emersi. Il processo assume, in questo caso, una duplice connotazione "bottom-up": innanzitutto perché nasce dai fabbisogni e dalle sensibilità dei diversi stakeholders territoriali e in secondo luogo perché derivato dai progetti prim’ancora che dalle strategie.

Ed è proprio questa doppia "emersione dal basso" che la pianificazione strategica, oltre a rappresentare l’intero processo di definizione dello sviluppo locale, può consentire di costruire un elevato grado di coesione e partecipazione.

Pietro Perrucci