La governance potrebbe essere definita anche come governo senza forza, non nel senso che debba essere governo debole, ma nel senso che i netti confini entro cui lo Stato ha esercitato la sua funzione di dominio in forma istituzionale sono costantemente rinegoziati, così come vengono continuamente rinegoziati i confini territoriali nel continuo rapporto “accoppiamento/devoluzione” tra i livelli locale, regionale, nazionale, europea, i confini tra pubblico e privato, per la capacità della sfera pubblica e per la pervasiva presenza degli interessi privati organizzati in ogni sfera della decisione politica ed infine, come i confini tra amministrazione pubblica e cittadinanza per la complessità raggiunta dalle sfere entro le quali le amministrazioni sono chiamate a operare.
L’architettura istituzionale che descrive i vari modelli di governance può essere sintetizzata nell’articolazione tra le componenti di mercato, imprese, Stato, comunità e associazioni, distinguendo una governance di tipo orizzontale, quella che si realizza tra mercato e comunità, ed una governance di tipo verticale come quella che si realizza tra imprese e Stato.
Occorre sottolineare che le relazioni reciproche che vengono così a svolgersi tra le diverse componenti della governance, tanto in termini di modalità di soluzione dei problemi, quanto in termini di coordinamento tra gli agenti economici di un sistema, consentono l’esercizio di quella funzione che è specifica della governance, cioè di superare i fallimenti del coordinamento nell’ambito delle politiche economiche nazionali e lo senza spreco di risorse. Pertanto, all’interno dei processi di governance il modello di coordinamento relazionale o interattivo che prevale è quello del “networking”, che si esplicita nella cooperazione diretta o “coo-petition” tra le piccole imprese, nella concertazione e in tutte le altre forme negoziali e pattizie (così come accade per la pianificazione strategica e la programmazione bottom-up), in accordi produttivi e commerciali internazionali (alliance capitalism) ed in nuove forme di cooperazione internazionale e interregionale.
Nello specifico di queste nuove forme di cooperazione internazionale e interregionale, definiscono una forma di governance territoriale reticolare, e quindi di networking, che sono state espressamente adottate e incentivate nella politica economica dell’Unione Europea che richiama in modo esplicito il tema del sostegno allo sviluppo locale e della partnership concertata, accanto alla promozione dell’espansione economica sostenibile e nel riequilibrio tra i sistemi economici e territoriali dell’Unione, anche nelle stesse politiche economiche più tradizionali e settoriali (infrastrutture, recupero urbano e tutela dell’ambiente ecc…), che sono rivolte al più generale obiettivo dello sviluppo, pur implicando processi di trasformazione del territorio su cui agiscono.
Sempre nell’ambito europeo, vi troviamo ribadito il principio di sussidiarietà. Tale principio ha trovato la sua formalizzazione in occasione del Trattato di Maastricht (1992) e si è esplicitato anche nella costituzione del Comitato delle regioni, con un ruolo consultivo, parallelo a quello del Comitato economico e sociale, dando così spazio ad maggiore autonomia e protagonismo ai governi regionali e locali.
Ancora, il libro bianco sulla governance della Commissione europea (2001) esplicita questa scelta strategica di focalizzazione sullo sviluppo locale e sull’approccio relazionale e di networking, per garantire maggiore efficacia alle politiche dell’Unione Europea. D’altronde, la stessa natura dell’Unione Europea risulterebbe del tutto incoerente con l’opzione di un approccio gerarchico e non reticolare-interattivo.
La conferma del ruolo assegnato al networking tra gli attori territoriali è constatabile soprattutto dalla crescente applicazione dei principi di concertazione e sussidiarietà, con la regionalizzazione dei programmi di sviluppo locale e il coinvolgimento degli enti e degli attori territoriali. L’utilizzo da parte delle regioni dei Programmi Operativi Regionali (P.O.R.) nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno (Q.C.S.), l’accorpamento nel ciclo di programmazione 2000-2006 degli obiettivi in tre categorie (obiettivo1, promozione e sviluppo delle regioni in ritardo; obiettivo 2, riconversione economica e sociale delle zone con difficoltà strutturali, tra cui le zone urbane in difficoltà; obiettivo 3, promozione dell’adeguamento e dell’ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione), e l’attuazione delle politiche dei fondi strutturali e degli altri fondi europei, testimoniano proprio l’uso del networking tra gli attori territoriali. Anche i Programmi di Iniziativa Comunitaria (P.I.C.), direttamente gestiti dalla Commissione, rivelano chiara attenzione networking attraverso i programmi territoriali concertati.
Infine, anche in quella che doveva essere la nuova Costituzione europea (2004) prevedeva diversi riferimenti alla governance, tra i quali ricordiamo quello contenuto nell’art. 3 che, nel recitare come segue “l’Unione Europea … promuove la coesione economica, sociale e territoriale”, introduceva la nozione di coesione territoriale quale nuova dimensione delle politiche di riequilibrio europee .
Per quanto riguarda l’Italia, una esperienza di networking, molto praticata è stata quella attinente alla gestione dei fondi strutturali europei e quella dei Laboratori di Governance nell’ambito del progetto “Sostegno alla Progettazione Integrata nelle Regioni del Centro Nord”. Tale progetto ha avuto come obiettivo quello di fornire supporto alle P.A. delle Regioni del Centro-Nord per l’attuazione dei Doc.U.P. Obiettivo 2, 2000-2006, ovvero per l’attuazione di progetti di sviluppo locale integrato, contribuendo in tal modo al rafforzamento delle competenze degli operatori coinvolti ai diversi livelli di programmazione, progettazione e gestione dei progetti. Si è trattato di percorsi di progettazione ed in parte di programmazione fondamentalmente autonomi, influenzati soprattutto dalle specifiche esperienze locali e dalle visioni e riferimenti culturali dei policy maker regionali, oltre che dai modelli delineati per il Sud dalla politica dei fondi strutturali per le regioni ad obiettivo 1, che hanno portato alla elaborazione di un modello di governance basato essenzialmente su uno sviluppo condiviso, sistemi di partnership verticale e forme di networking tra promotori e destinatari di queste politiche.
Centrale nell’ambito di questa esperienza è stato il cosiddetto “modello di decentramento”, ovvero un approccio operativo in cui, oltre a considerare tutti quegli elementi di un programma che attribuiscono funzioni specifiche ai livelli locali – in particolare ai partenariati – nel sistema di relazioni che collega le istituzioni che promuovono le politiche ai beneficiari finali (partnership verticale), che si è basato su attività di animazione locale finalizzata al
- decentramento decisionale (possibilità di partecipare alle scelte che “orientano” l’attuazione del PO nel proprio sistema territoriale);
- decentramento amministrativo (attraverso il quale si attribuisce un ruolo nel sistema di procedure amministrative che regolano il ciclo di progetto);
- decentramento finanziario (attraverso il quale si attribuisce un ruolo nell’erogazione delle risorse).
In funzione di ciò, le principali attività che sono state svolte sono le seguenti: diagnosi strategica; predisposizione e approvazione di progetti territoriali integrati; acquisizione e selezione per le operazioni da finanziare; informazione e pubblicità; assistenza tecnica; monitoraggio periodico fisico e finanziario; erogazione dei contributi; rendicontazione; vigilanza sulla realizzazione; rimodulazione; controllo; valutazione.
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